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giovedì 13 febbraio 2014

Adriano Visconti, l’Asso dell’Aviazione

AdrianoVisconti

Una raffica di mitra alle spalle lo uccide, autori del delitto i partigiani della brigata garibaldina Redi

Sparare alle spalle è vile. Uccidere a tradimento, violando un patto, è da pusillanimi. La storia di Adriano Visconti è una di quelle che sui libri di storia non si trovano, eppure parliamo di un personaggio di cui l’Italia dovrebbe andare fiera.

È il 29 aprile 1945, Adriano Visconti, ‘Asso dell’Aviazione italiana’ è in una caserma di Milano. Ha al suo attivo 1400 ore di attività bellica, 591 missioni, 72 combattimenti, 26 abbattimenti, di cui 19 antecedenti all’armistizio e 7 successivi, oltre a due subiti, due Medaglie di bronzo e sei d’argento al Valore Militare, due promozioni per meriti nel corso della Seconda Guerra Mondiale, le Croci di Ferro di 1 e 2 classe.

Era nato a Tripoli, nella Libia italiana, dove la sua famiglia era emigrata dopo la colonizzazione del 1911. La sua carriera nell’aviazione era stata eccezionale, la sua scelta di aderire alla Repubblica Sociale lineare ed indubbia.

Il 29 aprile del 1945 deve arrendersi, non c’è più carburante, resistere è impossibile. La resa del 1° Gruppo caccia Asso di Bastoni è firmata da Visconti, dal CLNAI, dal CLN e da quattro capi partigiani. Sono il cosiddetto ‘Capitano Chiodo’, un tal ‘Ferruccio’, un certo ‘Nicola’ e uno che si chiama Aldo Aniasi, detto Iso in quel gergo tutto partigianesco che tanto piace ai vanagloriosi ‘resistenti’. È un accordo in piena regola, secondo il quale la resa comporta la garanzia di libertà ai sottufficiali e agli avieri, l’incolumità degli ufficiali e l’impegno di consegnarsi come prigionieri di guerra alle autorità italiane o alleate. Naturalmente si parla degli alleati ‘nuovi’, quelli che fino a pochi mesi prima avevano sganciato bombe sul suolo italiano sventrando città ed uccidendo incondizionatamente civili e militari. Un patto che viene tradito, come accade quando una delle parti dell’accordo è un vigliacco senza onore. Una raffica di mitra sparata alle spalle uccide Adriano Visconti e il suo aiutante Valerio Stefanini. A Visconti vengono esplosi altri due colpi di pistola alla nuca. Chi spara è il guardaspalle di Aniasi, quell’ ‘Iso’ che nel 1945 comanda la brigata garibaldina ‘Redi’ e che poco tempo dopo sarà sindaco e senatore della Repubblica Italiana. Aniasi viene incriminato: si ritiene che l’ordine sia partito da lui. Eppure non viene condannato: l’assassinio di Visconti e Stefanini è ritenuto ‘legittimo atto di guerra’, perché avvenuto prima dell’8 maggio 1945. I due pesi e le due misure. I morti di serie A e i morti di serie B. Gli ‘eroi’ che riempiono le pagine dei libri di storia e i dimenticati. E due facce di un’Italia che ha perso non solo la guerra ma, prima ancora, la dignità.

Ad accogliere le spoglie dell’Asso dell’Aviazione, il Campo 10 nel Cimitero di Musocco a Milano, dove riposano le spoglie di molti repubblicani. È lo stesso cimitero in cui viene sepolto, anonimamente, il Duce del Fascismo Benito Mussolini e da cui la pietà di Domenico Leccisi e di altri fascisti lo trafugherà nella speranza di una sepoltura più degna, che giungerà solo nell’agosto del 1957 nella sua Predappio.

Per tornare a Visconti, bisogna dire che come recita un antico detto, ‘nemo propheta in patria’: mentre l’Italia dimentica i suoi uomini migliori, Washington gli conferisce un tributo. Nel National Air and Space Museum un’immagine di Adriano Visconti  gli rende il giusto merito di ‘Asso dell’Aviazione italiana’. Anche New York lo celebra con una foto nel museo di Ellis.

In patria, invece, bisogna attendere il 2010 per sentir parlare di lui nel documentario ‘Volando con Visconti’  di Costa, che racconta la sua vita e quella del suo assistente Stefanini. Di Visconti si parla anche in ‘Aquile senza corona’ e ‘Il cacciatore del cielo’  del 2011 e in ‘Dai pulcini di Quarantotti alle comete di Visconti’ del 2012.

Quasi settant’anni ci ha messo l’Italia per rendergli in minima parte l’attenzione che gli spetta. Ma, si sa, questa è la storia scritta dai ‘vincitori’, che si autoproclamano tali senza aver riflettuto adeguatamente sul fatto che la guerra l’hanno persa anche loro.

emoriconi@ilgiornaleditalia.org

Emma Moriconi

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