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martedì 18 giugno 2013

L’ultimo bianco

Recensione apparsa su 'Libero' del 6 giugno 2013

l'ultimo-bianco

“L'uomo aveva una figura straordinaria: statura imponente, torace e spalle da gigante. Pesava più di duecento libbre, quel corpo, che muovendosi dava l'impressione di sfiorare sinuosamente il terreno. Nel viso duro, roccioso, quasi primordiale, piccoli occhi neri scintillavano sotto ciuffi arrabbiati di capelli biondi.
Impugnava il fucile; al fianco gli pendeva una scimitarra enorme. Era l'ultimo, stupendo esemplare di una razza superba: una stirpe che, pervenuta alla perfezione fisica, era precipitata nei gorghi della decadenza, per risalire alle vette solo alla fine, proprio prima di estinguersi”: era l’ultimo uomo bianco. E’ l’esordio di un racconto breve di difficile reperibilità anche per i suoi toni poco accondiscendenti con il politicamente corretto che tanto va di moda. Si tratta di L’ultimo bianco ora ripubblicato a distanza di oltre trent’anni (Cavallo alato, pp. 30, euro 6; info@libreriaar.com) di Robert Ervin Howard. Sulle prime il nome dell’autore dice poco. Ma non c’è chi non ricordi almeno uno dei suoi innumerevoli personaggi letterari noto soprattutto per la sua trasposizione cinematografica a opera di John Milius e per l’interpretazione che ne diede Arnold Schwarzenegger: Conan il Barbaro.
Howard è una figura molto interessante. Texano, nato nel 1906, in poco meno di tre decenni scodella oltre centossessanta racconti prima di spararsi alla testa con un revolver nella sua auto, fuori da casa, all’età di 30 anni. La cifra caratterizzante che attraversa molte delle sue storie è che la gran parte di esse sono ambientate in un epoca precivilizzata i cui protagonisti sono barbari. Molti temi che scorrono nelle sue fatiche sono stati disprezzati dal mainstream culturale sempre avverso alla cultura popolare tanto che alcuni critici lo definirono la Barbara Cartland dei maschietti.
Ma la scelta di quello sfondo per molti suoi racconti non era casuale e trovava origine in una sua particolare concezione della politica. L’atteggiamento di Howard verso questo aspetto della vita associata è piuttosto complicato, e soprattutto emotivo. Appena esplode la crisi del 1929 sostiene il New Deal perché credeva che l'economia americana stesse crollando e che qualcosa dovesse essere fatto a ogni costo. Egli, come il suo amico e sodale H.P. Lovecraft, era più di un "reazionario". Non amava certo i suoi tempi ma non viaggiava in avanti con il collo torto all’indietro. Non gli piaceva l’interventismo statale sul mercato ma pensava, sulla scorta di padre O’Caughlin, che il potere dovesse risiedere nel popolo e non in potentati finanziari e politici lontani e astratti. Era uno dei tanti populisti che incrociavano in quegli anni gli stati del sud degli Usa. Avvertiva come altri che si stava procedendo verso un dirupo e che un uomo, da solo, avrebbe potuto risollevare le sorti di un’intera civiltà: così Conan, così Salomon Kane e così il protagonista di questo breve racconto da lungo tempo introvabile.
L'ultimo uomo bianco è l’ultimo dei sopravvissuti di una civiltà ormai scomparsa, quella che Howard chiama la civiltà bianca. “Che grandezza aveva raggiunto la sua gente, prima che lussuria, indolenza e piaceri ne consumassero lentamente i nervi, sino a ridurla a un ammasso di degenerati”. Nel momento in cui la debolezza ha preso il sopravvento e ne ha minato la vitalità le sorti del mondo sono passate nelle mani di popoli più giovani e forti. “I primi segni - scrive Howard - si erano visti nello sport, soprattutto nell’atletica. Nelle competizioni decisive, i campioni dei bianchi vincevano sempre più di rado, quelli di altre razze conquistavano premi su premi”. “Per l’Africa intera - continua lo scrittore americano - dilagarono insurrezioni e rivolte. I neri spinsero verso nord i popoli arabi, sicché europei e arabi si massacrarono a vicenda, finché da Città del Capo a Tangeri e da Kimberly a Suez i dominatori furono soltanto loro, uomini scuri. Al primo assalto Spagna, Portogallo, Italia, i Balcani furono sopraffatti. Le avanguardie di quest’armata oceanica si abbatterono sull’Europa con la furia di un maremoto”. Per Howard, di tutti i bianchi, ne sopravvisse uno, colui che nelle pagine di questo racconto tiene in apprensione il lettore per le sue sorti. Una visione razziale, quella di Howard, condizionata dal socialdarwinismo imperante, allora, proprio Oltreoceano e meno in Europa, ma che malgrado questa sua impostazione non manca di cogliere nel segno alcuni sintomi della crisi dell’Europa. Anche senza individuarne la cause che sono le stesse che sono all'origine del socialdarwinsmo. Ma d’altronde chi è riuscito a scoprirle?
Simone Paliaga

NOVITA’.
Robert Erwin Howard.
L’ultimo Bianco.
Pp. 20, più illustrazioni. Collana: il Cavallo alato, n. 18.
Edizioni di Ar, 2013. Euro 6,00

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