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giovedì 17 gennaio 2013

Jan Palach: da poca brace un grande incendio?

San Venceslao, duca di Boemia all’inizio del X secolo, è il simbolo dell’indipendenza e dell’unità nazionale. La sua statua, a cavallo, s’erge imponente con alle spalle il Museo Nazionale che domina la parte alta della piazza e che porta il suo nome ed è la principale della città di Praga. Un canto natalizio lo definisce il ‘buon re Venceslao’. Al tempo del regime comunista vi sferragliavano tram traballanti e dalla vernice scrostata. Ai suoi piedi una piccola aiola a prato ricorda le vittime del comunismo. Jan Palach, in primo luogo, che qui, il 16 gennaio del 1969, si diede fuoco. Fu il primo in una tragica e volontaria estrazione a sorte. Altri, poi, lo seguirono. Egli se ne andò fiero e disperato e si versò la bottiglia di benzina e trasformò se stesso in torcia a rischiarare la notte grigia, quella notte grigia che, spessa e cupa, soffocava i tetti gli antichi palazzi le vie strette e le caratteristiche botteghe della città d’oro. Dal 1948 con il colpo di stato dei comunisti e il tacito assenso della logica di Yalta. Oggi, nei pressi dell’ingresso della facoltà di filosofia, di cui era studente, il suo volto è inciso su una stele di bronzo e accompagnato da una lunga iscrizione.
Un mito, riproposto nell’esangue e indifferente Occidente, ad esempio da Francesco Guccini in ‘Primavera di Praga’. Su quell’aiola, nonostante il restaurato governo satellite dei sovietici, pur in progressiva e inarrestabile agonia, si sforzasse di mostrare i muscoli, ogni giorno anonimi passanti vi deponevano fiori. Vi ho portato, 1996, gli alunni della VB  nell’anno della maturità e, rigidi compresi e raccolti, hanno voluto simbolicamente dedicargli un ‘presente!’.

Un’aiola sul marciapiede, frammento d’altra mente ed altro cuore, e di contro l’inesorabile onnivoro  Mcdonald’s le pubblicità cubitali e luminose modello USA, palazzi nuovi e altrettanto orribili che chiudono l’altro lato della piazza. Due prigioni, una ferrigna una caleidoscopica, dal grigiore mefitico dello stalinismo all’oscenità variegata della liberal-democrazia. Non è dato percorso alternativo? E fra i miei alunni scorgevo l’ombra triste e, al contempo, sorridente di Riccardo, confuso tra la folla urlante i mostri d’acciaio le facce mongole e stupide su di essi le bandiere blu bianche e rosse le ragazze in minigonna i giovani dalle camicie a quadretti e i capelli lunghi e quella macchia di sangue rappreso. Agosto ’68. Cantava Franco Battiato: ‘la primavera tarda ad arrivare’, no, rapidamente è sfiorita quella primavera. Eppure io voglio restare fedele a ciò che poteva essere e non è stata, alle tante visioni incompiute di un’Europa che aveva chiesto di collocarsi al di là di quella tenaglia a stelle e strisce e dalla falce e martello. L’Europa delle Nazioni, della giustizia sociale, della sua tradizione di cultura e delle grandi avventure dello spirito, di uomini in armi e per mari sconosciuti a inseguire un sogno, dei campi e delle officine, delle sue giovani donne e ridenti bambini…

16 gennaio 1969 – 16 gennaio 2013. Dalla finestra vedo scendere fitta la pioggia. C’era il sole in agosto. Eravamo arrivati con il sacco a pelo, lo zaino in spalla, attraverso l’Austria verde il caldo appena mitigato da un leggero vento della sera i camionisti accondiscendenti di caricarci lungo il ciglio delle strade. Da giorni si parlava di crisi imminente, di minacce del Patto di Varsavia, di truppe e mezzi corazzati alle frontiere. Nel salone della casa dello studente poco fuori città, dove avevamo trovato economico alloggio, Riccardo ed io eravamo intenti a vuotare grandi boccali di birra e provocare le ragazze fra luci soffuse e musica a tutto volume. Birra tanta; sesso poco. Poi l’improvviso tacere degli strumenti musicali, sul palco un giovane ufficiale prende il microfono, parole aspre, volti smarriti, il pianto a dirotto di una fanciulla dai capelli color stoppa, delle tante lacrime e del fuggi fuggi generale. L’invasione… Ci ritroviamo in camerata con due coetanei di Udine, iscritti al PSIUP (chi si ricorda di quel partito, espressione dell’ennesima scissione socialista ed atto di servilismo al PCI?). Costante il rombo degli aerei, delle colonne dei cingolati. Li spiamo dalle tapparelle abbassate, mentre in nome dell’’internazionalismo proletario’(sic!) i due compagni ci invitano a non impicciarci. Bava alla bocca, colorito cereo, ma – si sa – che il sol dell’avvenire sovente assume il medesimo colore della diarrea…

Va be’, non passiamo da eroi salgariani e facciamola breve. Si prendono i passaporti e le nostre cose e giù verso il centro della città… Ci ritroviamo con altri giovani provenienti da diversi paesi europei, soprattutto francesi, i più decisi i più battaglieri. Sta nascendo un nuovo ‘fronte dell’est’ per un’armata di Waffen-SS stracciona capellona blue-jeans, inebriata dalle canne, birra sesso e rock’n’roll, improvvisamente ridestata dalla noia soporifera del quotidiano conformismo cialtrone e democratico? Dura poco. Facciamo l’errore di raggrupparci per un panino vicino la discoteca più frequentata e dove ci attendono gli agenti in borghese della polizia politica con accompagno di uomini in uniformi pistole mitra spianati. Con poco garbo e molta decisione spintonati e sollevati di peso su autocarri e pullman, direzione il confine austriaco.

L’Europa dei banchieri già sorrideva segretamente e strizzava l’occhio all’orso sovietico. Dal suo disfacimento altre filiali tassi d’interesse prostituzione sfruttamento dei salari in quel meccanismo perverso di ‘lavora-produci-consuma’. E Jan Palach in poca cenere… Già, ma ‘agnosco veteris vestigia flammae’, come scrive Virgilio e come riprende Dante. Da poca brace un grande incendio…

Chissà?!

Michele Mario Merlino

Da: http://www.ereticamente.net

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