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domenica 20 gennaio 2013

Il regno nascosto

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Le atmosfere tolkieniane del “Signore degli Anelli” continuano a far sognare  appassionando le nuove generazioni  con i loro mondi magici, con i loro personaggi fantastici ed affascinanti,  con una
morale sempre attuale che è ancora quella del bene che trionfa sul male, ma trattata e ragionata in maniera mai scontata. L’immortalità di questi mondi e di questi esseri, creati dal nulla, racconta una storia nella storia: quella di quando, negli anni Settanta, la lettura di Tolkien
entrò a far parte del modo di vivere e di pensare di una comunità.
Parlare di cultura di destra è quasi un’eresia, in certi ambienti. Lo è di certo nei salotti radical-chic in cui solo chi ne fa parte si sente in diritto di parlare, dall’alto della propria cattedra. Sono loro che danno i giudizi, loro che emettono le sentenze. Loro sono i depositari della cultura, come pure dell’arte, in tutte le sue forme.
Negli anni Settanta, però, Tolkien lo leggevano i ragazzi di destra. Si, quelli dei Campi Hobbit, quelli del Fronte della Gioventù, quelli di Terza Posizione … quelli che venivano etichettati come “mostri” e “violenti”, erano gli stessi che lasciavano correre la propria fantasia sulle lande incantate della Terra di Mezzo, o lasciavano che essa si arrampicasse
in cima al Monte Fato.
Oggi la trilogia del Signore degli Anelli l’hanno vista tutti.
“Lo Hobbit” fa ottimi incassi al box-office, “va-di-moda”.
Oggi tutti sanno chi è Aragorn, se si parla di Hobbit chi non
sa che sono dei “mezzi uomini” dai piedi grossi e pelosi, tenaci, onesti, leali? Se si parla della Compagnia dell’Anello tutti, ma proprio tutti, cominciano ad elencare: Frodo, Sam, Merry, Pipino, Aragorn, Boromir, Gandalf, Gimli, Legolas. I nove della Compagnia dell’Anello sono ormai più famosi dei Sette Nani di Biancaneve.
Tutti lo sanno, perché la trilogia cinematografica è meravigliosa. E’ certamente più appassionante guardarsi un film, sebbene della durata di circa tre ore, piuttosto che mettersi a leggere un librone di oltre mille pagine. Quelli degli anni Settanta, invece, il librone di mille pagine lo hanno letto. E ne hanno appreso l’insegnamento, fino in fondo. Oggi sono uomini adulti, e spesso quelle storie le leggono ai loro figli,
al posto della fiaba di Cappuccetto Rosso.
Pochi sanno, però, che quelle fantastiche storie produssero, insieme alla possibilità di viaggiare con la mente e di apprendere importanti lezioni di vita, anche qualcosa di concreto e di importante: gli Hobbit e La Compagnia dell’Anello, per esempio, sono gruppi di musica alternativa.
Bravi, peraltro. “Il regno dei nani” è una bella canzone di Gabriele Marconi. “Il regno nascosto” è un coinvolgente libro, sempre di Marconi. Potremmo andare avanti così a lungo: erano gli anni Settanta, dunque, e mentre il mondo correva dietro alla speculazione edilizia con il boom economico, o si andava a far fare il lavaggio del cervello a teatro ad ascoltare Dario Fo che predicava in favore di Soccorso Rosso Militante, o Franca Rame che mandava le rose
rosse in carcere all’assassino di Carlo Falvella , questi giovani, oltre a fare sana militanza per strada, vicini alla gente, leggevano Tolkien e formavano così in se stessi la consapevolezza di che tipo di uomini sarebbero diventati.
Uno di questi era proprio Gabriele Marconi: lo abbiamo già incontrato, nella nostra rubrica, parlando di altri suoi volumi. Oggi Gabriele, nella videointervista che trovate nella sezione video del portale del Giornale d’Italia, ci racconta il suo primo fantasy: “Il regno nascosto”, scritto a
quattro mani con Errico Passaro.
“Il regno nascosto” racconta la storia di Althorf e dei suoi due nipoti, Vitur e Tekkur, che sono gli unici Nani rimasti nel villaggio di Cuterbor.  Essi hanno vissuto a lungo insieme agli Uomini abitando quartieri all’interno delle loro città, ma il richiamo della propria terra è forte, e
dunque i Nani decidono di lasciare le loro case per cercare un luogo idoneo per ricostruire il loro regno, nel grande Nord.
Le atmosfere de “Il regno nascosto” sono ispirate consapevolmente a Tolkien, come pure gli insegnamenti che vi sono contenuti: quello della fratellanza innanzitutto. Quello dell’intimo ed inscindibile legame alla propria terra, poi.
Quello della caparbietà, della tenacia, della volontà di raggiungere la meta nonostante le mille difficoltà che si possono incontrare sul proprio cammino. Insegnamenti che emergono, vivi, in un’appassionante avventura in un mondo magico.
“Tolkien era un linguista, prima di tutto – dice Marconi – Inventò nel vero senso della parola la lingua elfica, e da lì nacque poi la sua produzione letteraria. La storia nacque quasi per caso: Tolkien era un insegnante, stava correggendo i compiti di inglese quando, su una pagina lasciata in bianco, scrisse: “In un buco del terreno viveva uno Hobbit”, senza sapere neppure lui cosa fosse uno Hobbit.”
I personaggi nati dalla fantasia di Tolkien sono tantissimi, perché Gabriele ha scelto proprio i Nani?
“Per la loro caparbietà – dice – sono testardi come muli,
determinati. Ne ammiro la volontà, la forza di non piegarsi
mai. Il racconto lo avevo scritto a penna in un’agenda - continua – fu Passaro a “decifrare” i miei geroglifici e a dare loro una forma. Poi l’opera tornò nelle mie mani, per una rivisitazione. Poi di nuovo nelle sue. Dopo molti passaggi arrivammo alla pubblicazione”.
Di Gabriele Marconi abbiamo già parlato in un’altra puntata della nostra rubrica domenicale, quando affrontammo due testi importanti dello stesso autore, “Io non scordo” e “Noi”.
Parlammo degli anni Settanta e Ottanta, dei troppi giovani uccisi per strada, di amici con cui l’autore aveva condiviso tutto, di ricordi. Questo è un libro diverso, indubbiamente.
Innanzitutto è un fantasy, e come tale possiede un linguaggio
più impostato, meno “diretto” se così si può dire. Ma anche
qui c’è tutto Gabriele Marconi, quello che abbiamo già conosciuto quando ci ha parlato di fratellanza, di lealtà, di amicizia, di condivisione, di forza di volontà. Tutto questo c’è anche qui, in questo libro che può certamente costituire un momento di evasione, che può indubbiamente essere un’occasione per rilassarsi leggendolo, ma che possiede anche la capacità di trasmettere quei valori che  costituirono
l’essenza dei personaggi tolkieniani.
Gabriele è stato sempre un grande estimatore del linguista britannico: nel 1988 giunse in finale al premio Tolkien con il suo racconto “Il Guardiano”.  Come per le belle favole, “Il regno nascosto” ci trascina in un mondo di fantasia, ricco di scenari affascinanti e attraverso un linguaggio semplice ma ben strutturato, lascandoci la possibilità di acquisire valori ed insegnamenti in modo piacevole.

Emma Moriconi

Intervista a Gabriele Marconi su “Il Giornale d’Italia”

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