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domenica 1 aprile 2012

«La strage è immorale»

Freda, l’anima nera senza condanna

Gli anni di Padova: «Io, bersaglio delle Br». L’editore veneto assolto per la bomba. Per la Cassazione furono lui e Ventura i responsabili

Franco Freda (archivio)

Franco Freda

PADOVA - «La strage di piazza Fontana è immorale». Nulla di strano, se non fosse che a condannare uno dei più sanguinosi attentati della Storia italiana è il padovano Franco Freda. Sempre uscito pulito dai processi che lo accusavano di esserne tra gli artefici, nel 2005 la Cassazione ha sentenziato che la strage fu organizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo (…) capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura». Un giudizio che vale solo come condanna morale, visto che i due imputati erano già stati assolti irrevocabilmente dalla corte d’appello di Bari. Oggi, a 71 anni (quattordici dei quali trascorsi in carcere) è, a suo modo, un superstite: l’amico Ventura è morto nel 2010. Nel giorno in cui esce nelle sale cinematografiche il film Romanzo di una strage, che racconta della bomba fatta esplodere il 12 dicembre 1969 nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, in pieno centro a Milano, uccidendo 17 persone, dopo anni di silenzio Freda accetta di rispondere via e-mail alle domande del Corriere del Veneto. Lo fa con il suo solito modo, attraverso citazioni e messaggi a volte enigmatici e a volte fin tropo chiari.
In molti si chiedono se sia opportuno realizzare un film su un evento tanto importante, ma ancora poco chiaro. Qual è la sua opinione? «Sono tanto d’accordo che abbandono il rango dei pochissimi e mi metto tra questi molti. Sperando che diventino moltissimi quelli che non si accontentano della contraffazione ma vogliano la chiarezza, la verità vera».
Andrà a vedere il film? «Penso proprio di no. In questi giorni devo contemplare le bozze della nostra edizione dell’Al di là del bene e del male di Nietzsche».
Se l’aspettava di finire in un film che verrà presentato anche a Cannes? «Addirittura a Cannes? Com’era la filastrocca che ci cantavano da piccoli per convincerci a mangiare? Ah, sì: "Boca a me, boca a te, boca al Can" Però finiva sempre con te che spalancavi la bocca e facevi: "Aaaam!"…».
A interpretarla è l’attore Giorgio Marchesi… «Non lo conosco. Né lui ha cercato mai di conoscermi, se non attraverso certi miei scritti. D’altronde, questo film è nemico dell’onestà e del realismo, e non potrebbe essere altrimenti. Sennò avrebbe dovuto limitarsi a un’unica scena: l’inquadratura del cratere sul pavimento della banca dell’Agricoltura, con lento e sempre più profondo zoom. Quello è l’unico fatto certo».
Il film si sofferma sulla «pista veneta» che, stando alla Cassazione, conduce a lei… «Lei parla della corte di Cassazione, sedicente suprema? Io conosco, anzi, sono obbligato a conoscere una sola sentenza che ha escluso la mia responsabilità penale per piazza Fontana. L’altra non esiste. Non è ammissibile, sotto il profilo etico e giuridico, che esista».
Reputa credibile l’ipotesi che la strage sia stata progettata in Veneto? «In Veneto, la terra del Santo? No, assolutamente no. Anche se, ripensandoci, il Veneto è stato pure la terra del sangue, nel 1945, la terra della stragi fatte dai partigiani contro i fascisti: di Oderzo, di Schio, di Codevigo, dove c’era il Brenta rosso di sangue, del Bus de la Lum, la foiba in cui vennero gettati centinaia di civili, insieme ai soldati fascisti e nazisti. E a Padova c’è stato non solo il Santo, ma pure il tiranno Ezzelino. Io avevo una libreria intitolata a Ezzelino, che è stata bruciata nel ’75 da un commando delle Brigate Rosse. C’era dentro anche un bambino di pochi mesi, che si è salvato per miracolo perché avevamo un’uscita segreta sul retro. Ma questo, chi ha buttato la molotov e chiuso la serranda, non lo poteva sapere».
Chi c’è, secondo lei, dietro alla strage? «Non si sa chi c’è "nella" e lei chiede chi c’è "dietro". Cosa significa dietro? È possibile che sempre ci sia qualcosa dietro? Vede: credo che i sospetti non siano altro che proiezioni delle inclinazioni di chi sospetta. Chi è cavernoso dentro vedrà e vorrà sempre il male, il torbido, rinunciando a ogni rappresentazione limpida, e pure all'onestà quando è di intralcio».
Ha avuto un ruolo per quanto accaduto in piazza Fontana? «Io non ho mai conosciuto ruoli: solo ranghi. Il mio rango nella resistenza, per esempio. Non sono pochi quattordici anni nelle "mude" statali, in clausura».
Con le sue risposte, ha sempre dato l’impressione di saperne molto più di quanto sia disposto a rivelare… «A dire il vero ho sempre tentato di dissimulare l’oppressione che le domande inquisitorie esercitavano su di me. È come se certi interrogativi che mi vengono rivolti presupponessero di incontrare un’altra persona, diversa da me. Trame, complotti, servizi deviati. Mah. La realtà, l’unica verità della mia vita, è un’altra: l’amore della Solidea. Solidea era un nome che agli inizi del Novecento davano gli anarchici alle loro figlie e voleva significare la devozione alla loro sola idea: l’anarchia. Questo amore per la mia Solidea, una chimera che ha testa di Platone e corpo di Nietzsche, l’ho coltivato sempre: facendo da quasi cinquant’anni l’editore e, certo, anche pensando, negli anni ’60, alla cerca di uomini per la rivoluzione».
Con il passare degli anni, è cambiato il suo giudizio sulla democrazia? «Sì. In peggio. Questo è uno stato in disfacimento, smegmatico, ammalorato. Ma il problema non è tanto la democrazia come istituzione: è la democrazia come ideale. Oggi democrazia è un odio di basso conio organizzato dalla tecnologia. Democrazia è la strage delle idee perché trionfino le opinioni, il "secondo me". Democrazia è fare in modo che tutto esista solo in funzione del mercato. Democrazia è uccidere santamente per il petrolio. Democrazia è vincere perché si comprano, o si stordiscono di propaganda, che è lo stesso, gli arbitri della partita elettorale. Democrazia è farsi imbavagliare dai tabù e riempirsi di nevrosi. Democrazia - dice Nicolàs Gòmez Dàvila, un grande pensatore reazionario - "è essenzialmente dare del tu a Platone e a Goethe". Come minimo, un’insolenza».
Per sovvertire la democrazia, ci sono limiti che non vanno superati? «No, pur di abbattere la democrazia, nessun limite. È la democrazia stessa il limite. Nel secolo scorso le hanno fatto la guerra sia i compagni che i camerati, col feudalesimo castrense dei regimi fascisti e comunisti. Auspico che questo sia il secolo di un nuovo feudalesimo».
Qual è il suo giudizio morale sulla strage di piazza Fontana? «Non c’è spazio per giudizi soggettivi. Una strage è immorale. Certamente».

Andrea Priante
31 marzo 2012

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