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domenica 29 gennaio 2012

E’ morto Oscar Luigi Scalfaro


Chiese, dopo la guerra da P.M., una sola condanna a morte, che ottenne... Quella di Enrico Vezzalini...
Scalfaro                 Enrico Vezzalini
"ENRICO VEZZALINI è tra coloro che non solo hanno pagato con la vita la loro fede, ma hanno trovato accusatori anche dopo la morte. Fuori di ogni intento apologetico, ecco dei dati di fatto e dei documenti.
Il primo rilievo ci riporta alla veramente orribile strage di Ferrara del novembre dal '43 che, appena conosciuta, mandò sulle furie Mussolini. Di quell'azione “stupida e bestiale” (così fu definita dal Capo della R.S.I.) si è voluto chiamare responsabile il Vezzalini. E’ invece dimostrato che fu condotta dal gruppo di estremisti che, durante le sedute al Castello di Verona, si atteggiavano a giustizieri e colsero al volo la notizia dell'assassinio di Ghisellini, federale di Ferrara, per un'azione di rappresaglia intonata ai loro criteri. Il fatto che il Capo della R.S.I. dopo aver condannato quell'azione, mandò appunto il Vezzalini a coprire il posto del Ghisellini e più tardi lo creò capo della provincia di Ferrara, e per sé eloquente. Rimasto in quell'ufficio fino all'agosto del '44, Vezzalini fu poi mandato a reggere la provincia di Novara, particolarmente difficile per le numerose forze partigiane che vi operavano e i travasi di ogni genere attraverso il confine svizzero. Là ebbe la conferma di quella realtà che egli aveva già intuito, fin dall'8 settembre, quand'era Ispettore del G.U.F.: che cioè agli italiani che non accettavano di passare al nemico, restava soltanto “il dovere di morire da uomini d'onore”.
Non tutti i gerarchi uguali o superiori a lui, seguivano la stessa linea; perciò il Vezzalini trovò anche tra loro dei critici acerbi. Quanti però lo hanno conosciuto da vicino non mettono in dubbio la sua dirittura, il suo disinteresse (dopo aver ricoperto tante cariche, muore nella povertà più completa), la sua dedizione ad una causa che per lui era tutto. Per lui il fascismo si identificava col bene della Religione e della Patria. Anche nella guerra in Spagna aveva combattuto “per la civiltà cristiana”, come gli antichi crociati. Negli ultimi mesi della R.S.I. ebbe incarichi ispettivi. Nel giorno del progettato concentramento in Valtellina, uno dei pochi reparti che arrivò fino a Menaggio, sostenendo aspri combattimenti coi partigiani ed avendo parecchi morti e feriti - lo stesso comandante restò ferito - fu quello del prefetto Vezzalini. Arrestato il 28 aprile fra Cernobbio e Corno, fu portato a San Fedele d'Intelvi, poi a Omegna, quindi a Novara. Qui fu giudicato in un'atmosfera arroventata, quando ogni fatto d'arme, ogni uccisione di partigiani, comunque avvenuta, era addebitata a chi sul luogo aveva rivestito cariche. Il processo si svolse il 14 e il 15 giugno senza nessuna possibilità da parte dell'accusato di procurarsi prove e testimonianze a discarico. Condannato a morte ed omesso, per inspiegabile errore, il ricorso in Cassazione, egli restò in serena attesa più della morte che della ripresa di un dibattito giudiziario che, dato il momento e il luogo, non poteva essere che una gazzarra umiliante. Non gli mancò l'amarezza estrema: seppe che l'allora prefetto di Novara, già da lui liberato dal carcere per l'“insigne personalità sua di medico noto e onoratissimo”, aveva spedito a Roma l'inqualificabile telegramma pubblicato da tutti i giornali: “E’ parere di tutta questa popolazione e mio personale che il sanguinario Vezzalini sia fucilato”. La fucilazione ebbe luogo all'alba del 23 settembre. Va ricordato un particolare che avvicina il Vezzalini ai grandi condannati politici di ogni tempo. Durante il lungo periodo intercorso fra condanna ed esecuzione gli è stata offerta la fuga dal carcere: poiché tale offerta non poteva essere estesa agli altri sei condannati con lui, la respinse con le parole: “0 tutti o nessuno!”.
Monsignor Pozzo che assisté il condannato, scriveva alla di lui madre: “Il suo contegno mi ha edificato e direi quasi meravigliato. Ho ammirato la sua serenità d'animo, il suo coraggio, la preparazione al grande passaggio... La sua parola appassionata riuscì a portare la rassegnazione e la serenità ai compagni di sacrificio. Sono persuaso che già si trovi a godere la pace dei giusti.... E’ caduto da santo!”. E il giudice, pure presente all'esecuzione, ha dichiarato: “Sembrava andasse ad un ricevimento, tanto era composto, dignitoso e sereno. Io, avversario politico, ho doluto abbracciarlo e baciarlo”.
Quale pluridecorato, il Vezzalini ha chiesto d'essere fucilato al petto: non l'ha ottenuto. Ma le sue ultime parole sono state: - Perdono a tutti! Viva l'Italia! Viva il fascismo! -

Pochi giorni prima di morire scrisse al padre:
Babbo,
il tuo Enrico, che volesti generoso come tuo padre, garibaldino, e, come te, volontario per la Patria, cade. Cade da soldato della propria Fede, con fierezza. Sii fiero.
Sii forte.
Bacio te, mamma; Nera, Bianca... ed i miei cari. Aiutali; li lascio nella miseria.
E ricorda sempre loro che non c'è che la vita del sacrificio che possa permettere di morire con assoluta fortezza.
Ti bacio.
Tuo Enrico"...

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