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martedì 25 ottobre 2011

Il lato marcio della mela di Jobs

Ritmi massacranti per produrre l’iPhone

20 ottobre 2011

| Stefano Trincia

nuovi schiavi

“Lo schiavo” recita il cartello realizzato per denunciare i suicidi alla ditta Foxconn

Genova - Finito il cordoglio, chiuse col lutto le celebrazioni di un mito del 21esimo secolo, per Steve Jobs e la sua Apple è il momento della denuncia e delle polemiche. Sarà la brutta aria che tira per i Vip del capitalismo Usa, o la contestazione aperta degli squali di Wall Street in decine di città americane. Sta di fatto che anche lui, il padre dei Mac, degli iPhones e iPads, idolo di milioni di giovani consumatori, entra nel mirino della contestazione. Di mezzo ci sono le brutali condizioni di lavoro nella fabbriche che sfornano centinaia di migliaia di gioiellini elettronici della linea Apple. Fino agli anni ’90 venivano prodotti in California. Con l’alba del nuovo secolo Jobs ha delocalizzato, trasferendo le operazioni nella ben più conveniente Cina comunista. Ed in particolare nella città-lager di Shenzhen, dove vede la luce oltre il 50 per cento dell’elettronica di consumo del mondo.

Di lì è apparso “il lato marcio della mela di Jobs”, secondo quanto hanno scritto i giornali anglo-americani. Da detonatore della controversia ha fatto uno spettacolo teatrale itinerante che da un anno è in tournée negli Stati Uniti e all’estero. Si intitola “The agony and the ecstasy of Steve Jobs”, l’agonia e l’estasi di Steve Jobs. Ne è autore Mike Daisey, un artista che ha deciso di mettere in scena il suo monologo in nome del suo amore per Jobs e la Apple, di cui è un fanatico seguace. E dello sgomento provato nello scoprire dove e come nascono i meravigliosi prodotti elettronici della casa.

«Sono cresciuto con iMac, iTunes, iPhone, iPad, hanno cambiato in meglio la mia vita – ha dichiarato Daisey al New York Times – mi ha sempre stregato lo stile di Jobs, il suo approccio etico, anticonformista al mercato ed all’industria. E ho quindi deciso di andare a vedere in Cina il cuore pulsante della Apple. Non mi aspettavo di scoprire ciò che ho scoperto». Lo show, partito in sordina, è progressivamente decollato con la malattia e quindi con la scomparsa di Jobs. Squarciando il velo del lutto collettivo. «Ho cercato di visitare gli impianti della Apple ma senza successo – ha spiegato Daisey – mi sono dovuto spacciare per un industriale americano per entrare nel parco industriale, e sono rimasto di stucco».

L’impero cinese di Jobs ha sede a Shenzhen e Chengdu, due centri urbani a crescita demografica ed economica esponenziale che rappresentano il principale snodo planetario per l’elettronica di consumo. Fino ad un decennio fa erano poveri villaggi di pescatori non lontano da Hong Kong. Con investimenti cinesi e stranieri che hanno superato i 300 miliardi di dollari, sono ora formicai umani con più di cinque milioni di abitanti. Il centro motore di Shenzhen è il polo industriale Foxconn Technology: un autentico girone infernale che accoglie mezzo milione di operai del settore elettronico e che lo scorso anno finì sulle prime pagine di mezzo mondo per la nutrita, tragica serie di suicidi di lavoratori ridotti alla disperazione.

L’inchiesta congiunta di due Ong americane ha scoperto due mesi fa l’orrore delle fabbriche Foxconn, dove trovano ospitalità i più importanti marchi industriali del mondo. In particolare nei laboratori di montaggio di iPad e iPhone, ai lavoratori viene sottoposto al momento dell’assunzione l’impegno a non tentare il suicidi o. Nel caso l’operaio dovesse porre fine ai suoi giorni, i familiari riceverebbero il minimo dei risarcimenti previsti dalla legge.

Una volta al tavolo da lavoro, i ritmi sono massacranti: dodici, quindici ore consecutive a montare apparecchi elettronici, fino a 100 ore di straordinari obbligatori al mese. Divieto assoluto di parlare con i colleghi durante il lavoro, camerate per 24 persone con lettini a castello in dormitori a dir poco precari.

«Condizioni bestiali – ha raccontato Daisey – che sono peggiorate negli ultimi mesi con il boom di richieste mondiali dei prodotti Apple».

Le autorità cinesi hanno negato che ci siano a Shenzhen situazioni di semi schiavismo. Ma sono state proprio loro, insieme ai sindacati, a denunciare la Gucci di recente. La casa italiana di proprietà del colosso francese Pinault, avrebbe negato alle lavoratrici incinta acqua e cibo durante il turno, tanto da provocare aborti spontanei.

http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2011/10/20/AOPkXNFB-della_lato_marcio.shtml

Ndr: Nella vita degli uomini mai è stato, mai è, mai sarà o tutto bianco o tutto nero.

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