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sabato 29 ottobre 2011

Good Morning, Libya!

Libia: finita la “macelleria umanitaria” è pronto a scatenarsi il conflitto tribale

di Paolo Sensini - 28/10/2011
Fonte: Vita

«Dead or Alive». Con quest’immagine ad alto effetto mediatico e in ossequio alla più trita sceneggiatura di un Western americano, il «comando congiunto» nato-ribelli ha posto mesi orsono una taglia di venti milioni di dollari sulla testa del colonnello Gheddafi. Più «Dead» che «Alive», per dire il vero.
E ora, dopo sette mesi di ininterrotti bombardamenti della North Atlantic Treaty Organization (nato) sulla Libia, eccoci giunti all’atto finale del copione. Un atto finale che però, lungi dal rappresentare ciò che ha ripetuto in coro tutto il circo equestre mediatico, non è affatto una conclusione, ma piuttosto un nuovo inizio: l’inizio del caos pianificato e della guerra tribale in Libia.
Del resto, che il trofeo finale dell’intera operazione Occidente-ribelli fosse proprio lo scalpo del leader libico, è certificato plasticamente dal fatto che, poco dopo la via crucis e l’assassinio in mondovisione del «tiranno», è stato subito posto all’ordine del giorno lo stop delle azioni da parte del Consiglio Atlantico. Il che, se vi fosse ancora un minimo di rispetto per quell’organismo geneticamente modificato chiamato «diritto internazionale», porrebbe già di per sé l’intera operazione sotto il segno della più totale illegalità. Insomma, l’ennesimo strappo giuridico che pone in evidenza, una volta di più, che è la forza a creare il diritto. Non il contrario.
Le risoluzioni 1970 e soprattutto 1973 promulgate dal Consiglio di Sicurezza dell’onu non avevano infatti tra i propri obiettivi dichiarati un Regime change o l’uccisione di leader, ma la semplice «protezione dei civili» (in sigla R2P). Fin dall’inizio tuttavia, e lo dimostrano le oltre 40 mila missioni compiute dall’Alleanza, gran parte degli attacchi militari si sono concentrati proprio nel tentativo di eliminare dalla scena il leader libico. Oltre a riportare le infrastrutture del paese, dopo aver lanciato circa 50 mila tonnellate di bombe ad alto contenuto esplosivo (gran parte delle quali all’uranio impoverito), all’età della pietra. Segno che il vero scopo della missione era questo, altro che «protezione dei civili». Ora, a «missione compiuta», i libici dovranno invero pagarsi completamente di tasca propria la ricostruzione ex novo del paese, che fino all’inizio dell’attacco bellico era il più progredito e avanzato dell’intero continente africano.
Un Gheddafi ancora in vita, in effetti, sarebbe stato un ospite molto inopportuno alla Corte Penale Internazionale all’Aja, dove avrebbe potuto con piacere ricordare tutti i baciamano, i caldi abbracci e gli accordi succosi che l’Occidente bramava, dopo essere stato promosso da «cane rabbioso» (Ronald Reagan) a «nostro bastardo» (George Bush). Avrebbe anche descritto per filo e per segno tutti i retroscena oscuri di questi golpisti che ora si atteggiano a «rivoluzionari» e «democratici» della «nuova Libia».
Così la nato, in ossequio alla sua notoria vocazione di «esportatrice di democrazia» su scala planetaria, si è prodigata fino all’ultimo momento per togliere di mezzo l’ingombrante figura del raìs. È ciò che documenta un reportage di Thomas Harding apparso sul «Telegraph», nel quale viene descritta l’intera dinamica dell’accaduto.
Gheddafi da parte sua, ben lungi dal fuggire dal paese, come ripetevano da settimane tutti i media mainstream, ha combattuto strada per strada, «zanga zanga», come aveva proclamato fin dall’inizio, contro quel disordinato brulichio di «ratti» che sciamava per il paese solo grazie agli incessanti bombardamenti cui è sottoposta da mesi la Libia da parte delle «grandi democrazie» occidentali.
Una volta uscito dalla città di Sirte ridotta ormai a un cumulo di macerie con un convoglio militare di 75 auto, la carovana su cui viaggiava il colonnello è stata subito avvistata dagli aerei spia: un Rivet Joint statunitense (che può individuare l’obiettivo a 250 km di distanza), un C160 Gabriel francese e un paio di Tornado GR4 britannici, oltre al contributo fattivo del Bundesnachrichtendienst (bnd), il servizio segreto tedesco, che pare conoscesse già da settimane il luogo esatto dove si trovava il colonnello. A questo punto un drone Predator MQ-9 Reaper statunitense, decollato da Sigonella e telecomandato via satellite da una base presso Las Vegas, cioè da oltre 10.000 km di distanza, ha attaccato il convoglio con numerosi missili Hellfire («fuoco dell'inferno») a testate anticarro termobariche e a frammentazione. Subito dopo, il convoglio è stato colpito anche da caccia francesi Rafale con bombe Paveway da 500 libbre e munizioni di precisione aasm, anch’esse a guida laser. Questo attacco è stato determinante per la cattura di Gheddafi.
Poi, com’è immancabilmente avvenuto fin dal febbraio scorso su tutti gli scenari bellici via via aperti dai raid delle forze nato, gli «insorti» sono calati come avvoltoi sulla preda salmodiando fanaticamente il consueto «Allah u akbar», mentre si accingevano a terminare la loro opera di macelleria…
Giunti a questo punto, è ormai evidente a tutti che le motivazioni addotte per l’intervento militare nato in Libia sono ben altre rispetto alla «protezione dei civili».
Tra gli obiettivi primari dell’intervento si annoverano infatti la volontà d’impossessarsi delle immense riserve di idrocarburi del paese, di fare propri circa 200 miliardi di fondi sovrani libici presenti nei forzieri occidentali, bloccare la penetrazione cinese nel continente nero, ma soprattutto quello di stroncare sul nascere il tentativo portato avanti dalla Libia di Gheddafi di creare un’unione economica dell’Africa e l’introduzione del dinaro d’oro come suo mezzo di scambio. Se ciò fosse avvenuto, sarebbe stato un colpo terribile per l’egemonia internazionale del dollaro e il perdurare dello sfruttamento coloniale delle immense ricchezze africane.
Benvenuti dunque nella «nuova Libia». Ora le milizie islamiste composte da Senussiti, Fratelli Musulmani, Al-Qa‘ida & Co, finalmente libere di applicare indisturbate la Sharia in un paese che se ne era tenuto fino a questo momento a debita distanza, muteranno le vite delle donne libiche in un inferno in terra. Centinaia di migliaia di africani subsahariani – quelli che non sono riusciti a fuggire – verranno perseguitati e martoriati senza ritegno. Le ricchezze naturali della Libia saranno depredate, com’era del resto già stato pianificato da Washington, Parigi e Londra.
Inoltre, gli arsenali di missili anti-aereo dell’esercito libico di cui si sono appropriati i fondamentalisti islamici diventeranno una ragione estremamente convincente perché la «guerra al terrore» nel Nordafrica diventi eterna. Scorrerà ancora tanto sangue, come probabilmente gli Stranamore atlantici si erano augurati fin dall’inizio. Finiti i bombardamenti nato e conclusa nel modo in cui abbiamo visto la prima guerra, ce ne vorrà una seconda per scegliere il vero vincitore. Good Morning, Libya!

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