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Giustizia per i morti di Bologna

Ultimissime del giorno da ADNKRONOS

domenica 30 ottobre 2011

Le canzoni della Repubblica Sociale

 

Le canzoni della RSI

Il 1977 è un anno davvero da ricordare. A giugno Campo Hobbit 1 sanciva la nascita di nuove strategie comunicative della “giovane destra” italiana: la musica alternativa, le radio libere, le fanzine. Come sempre in questi casi, i vertici del partito (il Movimento Sociale Italiano) e anche quelli delle sue organizzazioni giovanili (Fronte della Gioventù e FUAN) rimanevano sordi al cambiamento e passivi di fronte alle nuove straordinarie possibilità che l’evoluzione della comunicazione poteva offrire. Una delle rare eccezioni in questo panorama era Giorgio Pisanò.

Limpida figura di ex combattente: a 18 anni volontario della RSI, giovanissimo ufficiale della X MAS assegnato ai servizi speciali, arrestato dai partigiani il 28 aprile 1945 in Valtellina e scarcerato poi solo nel novembre del 1946. Grandissimo giornalista: inizia le sue clamorose inchieste sulla guerra civile collaborando con il Meridiano d’Italia; approda quindi all’Oggi nel 1954 e segue Edilio Rusconi a Gente nel 1960; infine si mette in proprio fondando il Secolo XX, nel 1963 e rilevando il Candido di Giovanni Guareschi nel 1968. Fondamentale la sua opera di storico: le grandi raccolte della Storia della Guerra Civile Italiana e della Storia delle Forze Armate della RSI, rimangono ancora oggi le più importanti e complete documentazioni di quel periodo, cui si affiancano i libri, venduti in centinaia di migliaia di copie: Sangue chiama sangue, La generazione che non si è arresa, Gli ultimi 5 secondi di Mussolini, Io fascista.

Giorgiò Pisanò, in quel 1977, era anche Senatore della Repubblica, oltre che direttore del Candido e, come detto, era uno dei pochissimi a intuire le potenzialità delle radio libere e della produzione di musicassette. All’inizio dell’anno aveva già messo in vendita, attraverso le pagine del suo settimanale, due cassette dei Canti della II Guerra Mondiale da lui commentati. Sarà sempre Pisanò a incoraggiare la nascita della musica alternativa, pubblicizzando la prima musicassetta degli Amici del Vento (Trama nera) pubblicata anch’essa nell’autunno del 1977.

In questo contesto di grande fermento creativo nasce la produzione delle Canzoni della Repubblica Sociale Italiana. La considerazione di fondo che spinge Pisanò all’impresa (come scrive egli stesso nella presentazione dell’opera che ripubblichiamo nelle prime pagine) è che, per la maggior parte di quelle canzoni, non esisteva alcuna documentazione sonora; era dunque un patrimonio storico, oltre che musicale, destinato a scomparire. Le canzoni erano sulla bocca di tutti i reduci, concludevano i raduni o le cene comunitarie, ma non ci si poteva affidare solo alla tradizione orale. Così, fu proprio dopo una cena e una bella cantata a casa di Umberto Scaroni, sul Lago di Garda, presente anche il bergamasco Mirko Tremaglia, che Pisanò decise di incidere quegli inni su musicassetta. Ovviamente, però, bisognava ricostruirli dal punto di vista musicale, farli eseguire e cantarli in coro, visto che si trattava di canzoni di guerra. Tutti problemi non facili da risolvere.

Ecco, quindi, la vera storia della “Orchestra e Coro del Candido”.

Il primo passo fu l’aver trovato una piccola casa di produzioni musicali milanesi, diretta dal maestro Madonini (la stessa dove saranno poi incise la seconda musicassetta degli Amici del Vento e la prima del gruppo veronese degli ZPM). Qui Pisanò si reca la sera e, con la sua profonda voce baritonale, intona gli inni della sua giovinezza di fronte al maestro che, al pianoforte, ne ricava gli spartiti. Finita l’opera di “trasmissione orale” inizia il lavoro dei discografici che realizzano tutta la base musicale utilizzando esclusivamente il sintetizzatore. L’orchestra del Candido è, dunque, uno strumento elettronico, attraverso il quale Pisanò interviene per modificare qualche ritmo, per aggiungere o togliere trombe e tamburi. Poche settimane e le basi musicali sono pronte. È l’ora di incidere le voci: bisogna quindi trovare i cantanti. Vengono così “mobilitate” le voci degli Amici del Vento, Carlo e Marco Venturino, cui si affiancano due militanti del tempo, Tabone e Torelli e un giovane factotum di Candido (di cui purtroppo non ricordo il nome). Naturalmente c’è Pisanò e c’ero anch’io, allora vice-direttore del Candido… ma fui messo subito a tacere dopo le prime clamorose stonature. Un po’ poco, si dirà, per un “coro”. In effetti il trucco c’è. Le sei voci vennero prima registrate e, poi, sovrapposte quattro volte… Un po’ come se, a cantare, fossero state 24 persone, con qualche piccolo “difetto”, però, che l’orecchio più attento coglierà. Se – per esempio – l’entusiasta Pisanò andava un po’ “sopra le righe” questa piccola stecca risultava poi moltiplicata per quattro e, quindi, assai più evidente. Altro problema fu il fatto che le basi musicali erano state registrate così come le aveva cantate Pisanò e risultarono tutte realizzate su una tonalità molto “bassa”, difficile da intonare per gli altri. L’esempio più lampante, che richiese diverse ripetizioni, è O bella Dalmazia. Infine, c’era anche il coro femminile… visto che Pisanò aveva inserito La risposta delle donne tra le 26 canzoni da riprodurre. In questo caso si fece ricorso all’aiuto familiare: oltre a Cristina Constantinescu (voce femminile degli Amici del Vento) furono infatti chiamate la mamma dei fratelli Venturino e quella di Gigi Tabone, oltre all’allora fidanzata di Torelli. Anche qui la tecnologia moltiplicò il risultato.

Questa dunque la cronaca di quell’ottobre 1977, che diventa un frammento di storia nel momento in cui cogliamo il senso profondo e il valore documentale di quanto viene oggi ripubblicato. Essi sono racchiusi e sintetizzati in una semplice, quanto curiosa, analogia temporale: Giorgio Pisanò riportò in vita le canzoni della Repubblica Sociale Italiana 34 anni dopo l’inizio della Guerra civile, nel timore che andassero dimenticate. Noi le riproponiamo oggi, 34 anni dopo la loro prima pubblicazione, nella certezza che non lo saranno mai più.

Guido Giraudo
(Pres. Ass. Culturale Lorien

Da www.cantiribelli.com

Aggiornamenti rivista EURASIA (22-28/10/11)

eurasia

Di seguito gli aggiornamenti al sito di "Eurasia" di questa settimana (dal 22 al 28 Ottobre 2011):

EURASIA IN LIBRERIA

È attualmente disponibile in libreria l'ultimo numero (XXIII) di "Eurasia" (2/2011) dedicato a: "Geopolitica e costituzioni"

Ultime uscite

Il risveglio del Drago

Diego Angelo Bertozzi, Andrea Fais

Dopo Capire le rivolte arabe di P. Longo e D. Scalea e Progetti di egemonia di F. Brunello Zanitti, l'IsAG propone un terzo volume scientifico, concernente questa volta la Cina. Il risveglio del Drago. Politica e strategie della rinascita cinese - questo il titolo dell'opera - è pubblicato assieme alle Edizioni all'Insegna del Veltro di Parma. Gli autori sono Diego Angelo Bertozzi, già artefice del recente La Cina da impero a nazione e Andrea Fais, studioso di geopolitica già contributore di "Eurasia".

Progetti di egemonia

Francesco Brunello Zanitti

Neo-cons USA e neo-revisionisti israeliani a confronto. In seguito alla vittoria di Bush nel 2000 e soprattutto dopo gli attentati dell’11 Settembre i neocons statunitensi hanno influenzato considerevolmente la politica estera della Casa Bianca. Allo stesso tempo, l’ultimo decennio della politica israeliana è stato caratterizzato dal rafforzamento della destra, in particolare del Likud, partito erede del neorevisionismo, movimento politico basato su alcuni concetti già espressi dal sionismo revisionista e dal suo capo, Vladimir Jabotinsky. Si può parlare in questo contesto di un singolare legame tra i neocons e gli esponenti del Likud? Il neoconservatorismo e il neorevisionismo, pur essendo movimenti nati in ambienti politici e geografici lontani e differenti, hanno elementi in comune nelle loro ideologie? L’analisi del pensiero dei due movimenti politici e le azioni intraprese in politica estera dagli appartenenti a queste correnti possono offrire una chiave di lettura per comprendere le somiglianze e le differenze tra neoconservatorismo statunitense e neorevisionismo israeliano.


Pubblicazioni IsAG

Capire le rivolte arabe

Pietro Longo, Daniele Scalea

Capire le rivolte arabe. Alle origini del fenomeno rivoluzionario, il nuovo libro dei nostri redattori Daniele Scalea e Pietro Longo (rispettivamente segretario scientifico e ricercatore dell'IsAG), è ora disponibile all'acquisto presso la libreria online Librad. Il volume, edito da Avatarèditions per conto dell'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), consta di 168 pagine ed è acquistabile al prezzo di 18 euro. Si tratta della prima pubblicazione con marchio IsAG, oltre alla rivista "Eurasia". Il ricavato andrà a finanziare le attività dell'Istituto.

LE INIZIATIVE DI EURASIA

“Uzbekistan e Italia”: il 5 novembre a Modena

Conferenza "Uzbekistan e Italia: i rapporti economici e culturali" (Modena, 5 novembre 2011). Relatori: Jakhongir Ganiev (Ambasciata dell'Uzbekistan in Italia), Gairat Juldashev (Ambasciata dell'Uzbekistan in Italia), Tiberio Graziani (IsAG, "Eurasia"), Gian Paolo Caselli (Università degli Studi di Modena), ITER Viaggi Modena (Francorosso). Organizzazione: IsAG, Viaggiatori fuori tema. L'evento rientra nel Ciclo 2011-2012 dei Seminari di Eurasia.

“Rivolte arabe: la primavera non arriva”: il 9 novembre a Bologna

Conferenza "Rivolte arabe: la primavera non arriva" (Bologna, 9 novembre 2011). Relatori: Daniele Scalea (IsAG, "Eurasia"), Joe Fallisi (attivista). Organizzazione: "Eur-Eka".

"La prospettiva eurasiatica e le rivolte arabe": il 19 novembre a Trinitapoli

Incontro "La prospettiva eurasiatica e le rivolte arabe" (Trinitapoli, 19 novembre 2011). Relatore: Tiberio Graziani (IsAG, "Eurasia"). Organizzazione: famiglia Piscitelli. Ingresso su invito.

ARTICOLI E SAGGI

L'editoriale di Eurasia XXIII (2/2011)

I costruttori di carte ottriate

Tiberio Graziani

Lo studio dei rapporti tra la legge fondamentale di uno Stato e la geopolitica è tornato di attualità tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. In quel periodo (1989 – 1991), coincidente con il collasso del sistema bipolare, gli USA intensificarono il loro ruolo di “costruttori di Nazioni libere”. Proclamatisi Nation and State Builders, gli Stati Uniti interferirono nella elaborazione delle Carte fondamentali dei nuovi Stati nazionali, sorti dalla deflagrazione dell’ex blocco sovietico. Tale intromissione non costituì un fatto nuovo nella storia della politica estera statunitense, ma una costante. Una lettura “geopolitica” degli ordinamenti costituzionali ci dimostra che le Carte fondamentali degli Stati non egemoni sono sostanzialmente assimilabili alle Costituzioni ottriate. Nella transizione tra la fase unipolare e il sistema multipolare appare necessaria la formulazione di nuovi paradigmi costituzionali articolati su base continentale.

Venerdì, 28 Ottobre
La guerra libica nel cyberspace

Elisa Bertacin

Abbiamo visto come nell’epoca moderna i conflitti spesso vengano combattuti su canali tra loro paralleli: non solo la guerra combattuta sul teatro operativo vero e proprio, ma anche una guerra combattuta con le informazioni, attraverso i network informatici più diffusi. La guerra che sta lacerando da mesi il suolo libico non è da meno. Tuttavia, nella presente analisi, si è preferito non focalizzarsi troppo sugli elementi “classici” dell’Information Warfare. L’autrice ha scelto di concentrarsi su aspetti meno noti, aspetti legati al nuovo campo di azione – il cyberspace – che non sono più parte di scenari futuristici ai limiti della fantascienza, ma sono ormai parte della vita di tutti i giorni.


Giovedì, 27 Ottobre

Le prospettive della cooperazione geopolitica Russia-Cina

Leonid Ivashov

La visita del Primo Ministro russo in Cina e la firma di diversi accordi sull’energia e il partenariato economico, può essere descritto come una misura per prevenire una nuova ondata di crisi. Cina e Russia dovrebbero essere consapevoli di prendere decisioni ben ponderate in ambito sia politico che militare, e dimostrare la loro disponibilità a difendere i propri interessi. Dichiarare gli Stati Uniti e la NATO una grave minaccia per l’umanità, sarebbe il primo passo da fare in questa direzione.

Mercoledì, 26 Ottobre

Oltre la Libia e la morte di Gheddafi: ricolonizzare l'Africa per colpire la Cina

Francesco Brunello Zanitti

L’intervento della NATO in Libia, nel contesto della “primavera araba”, dimostra ancora una volta come l’Occidente non abbia abbandonato i suoi disegni egemonici. Nonostante il fenomeno delle sommosse sia complesso, la “guerra umanitaria” e la difesa difforme delle rivolte a seconda del contesto in nome della democrazia cela interessi geopolitici ben precisi e la volontà di esportare un modello economico, politico e culturale uniforme. Questa strategia è connessa alla competizione globale in corso con le potenze emergenti del futuro, soprattutto la Cina, ma anche l’India.

Martedì, 25 Ottobre

Le ultime volontà di Mu'ammar Gheddafi: la versione integrale

Redazione

Un sito Internet vicino alla defunta Guida della Giamahiria Libica ha pubblicato le presunte ultime volontà di Mu'ammar Gheddafi. Quest'ultimo avrebbe consegnato tre copie del documento a tre distinti parenti, uno dei quali sarebbe stato ucciso, l'altro arrestato ed il terzo ancora in vita dopo essere fuggito da Sirte. Quella che presentiamo di seguito è la traduzione italiana, realizzata a partire dalla versione inglese pubblicata dalla BBC.

Lunedì, 24 Ottobre

Il "prezzo del sangue": perché Gheddafi è stato ucciso (ma la guerra non finirà lo stesso)

Matteo Finotto

Se quando la NATO va in trasferta al di là del Mediterraneo prestasse più attenzione alle tradizioni culturali dei Paesi che ‘visita’ molti errori potrebbero essere evitati. Anche nel caso della guerra in Libia e della morte del Colonnello è la chiave antropologica la più adatta a rendere conto delle reali dinamiche sociali che si nascondono dietro i titoli altisonanti della stampa occidentale.

Domenica, 23 Ottobre

Brevi considerazioni dopo la morte di Muammar Gheddafi

Costanzo Preve

Il coro mediatico di oscena gioia dopo la morte di Gheddafi (ucciso come un topo nascosto in una fogna, eccetera) deve essere per noi motivo di insegnamento. Fra pochi giorni il circo mediatico se ne dimenticherà, come è sua consolidata abitudine, ma è bene fissare subito sulla carta alcuni elementi di riflessione. Il problema è quello di maturare un vero punto di vista alternativo.

Sabato, 22 Ottobre

Il linciaggio di Muammar Gheddafi

Thierry Meyssan

La morte di Muammar Gheddafi è stata accolta da una esplosione di gioia nei palazzi dei governi occidentali, in assenza da parte del popolo libico. Per Thierry Meyssan, questo omicidio militarmente inutile, non è stato perpetrato dall'Impero solo per dare l'esempio, ma anche per decostruire la società libica tribale. La morte della Guida avrà un effetto traumatico durevole sulla società libica tribale. Uccidendo il leader, la NATO ha distrutto l'incarnazione del principio di autorità.

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la Redazione

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sabato 29 ottobre 2011

Sì, viaggiare... purché si arrivi a destinazione con andamento lento

Renato Berio

slow travel

Anche il viaggio, soprattutto il viaggio, può diventare l'esperienza principale del vivere slow. Gaia De Pascale, studiosa di letteratura e di antropologia, ha cercato di spiegare perché nel suo libro Slow Travel (Ponte alle Grazie, 2008) che è un invito alla riconquista di una "mobilità dolce e consapevole". Una scommessa ambiziosa la sua: quella di conciliare turismo di massa e qualità ella scoperta che ciascuno di noi sperimenta nel viaggio che ha scelto di fare, purché si prenda il suo tempo per esplorare, per "assaporare" l'atmosfera di un luogo che a volte vale di più della fila forzata per sbirciare un quadro o un monumento famoso.
Come mai però anche se da tempo si tesse l'elogio della lentezza il vivere slow è così poco praticato?
Penso che sia una questione di educazione, noi dobbiamo ri-educarci all'uso diverso del tempo. Ci sono gli impegni e c'è il tempo libero e così noi organizziamo le nostre giornate come se tutto, anche i momenti di relax e di svago, fossero parte di una lotta contro il tempo. Ma il tempo non lotta contro di noi, che abbiamo la possibilità di scegliere quale qualità dare al tempo. Togliamo un po' di carne al fuoco dei nostri appuntamenti per riscoprire ciò che davvero ci fa piacere. Nel viaggio deve funzionare così: occorre recuperare l'idea del viaggio come esplorazione anche oggi, soprattutto oggi, in un tempo in cui pensiamo che tutto sia stato già esplorato.
C'è tutta una filosofia dietro il vivere slow, un modo di pensare antimoderno o un modo per difendersi dall'eccesso di nevrosi?
Direi sicuramente la seconda. Non a caso tutto nasce dallo slow food, dalla contrapposizione a una tendenza globale che ci vede consumare i pasti in fretta, a buon mercato, in piedi, mentre siamo presi da altre attività. In questa pratica c'è un'evidente perdita di qualità e mangiare diventa una funzione biologica mentre si tratta di una funzione che deve anche procurare piacere, compreso il piacere della convivialità. Non si tratta di tornare all'antico ma solo di capire che esistono alternative a stili di vita nevrotici e con ritmi stressanti.
Ma per le nuove generazioni, che addirittura misurano il tempo attraverso i minuti scanditi sul cellulare e non usano nemmeno l'orologio, quale senso può avere un discorso del genere? Non c'è il rischio che si tratti di un ragionamento snobistico, legato a élite un po' attempate?
È vero che le nuove generazioni vivono immerse nella velocità e si abituano in modo impressionante alle variazioni della tecnologia. Io ho 36 anni e ho invece più difficoltà e stare dietro alle innovazioni che loro usano con naturalezza. Il pensiero di un ragazzo di vent'anni oggi è strutturato in modo diverso. Eppure mi sembra che negli ultimi anni proprio i giovani abbiano riscoperto il viaggio realizzato con uno stile differente, basti pensare al boom di persone, soprattutto giovani, che intraprendono il Cammino di Santiago e non lo fanno solo per motivazioni religiose. Diciamo allora che quando si arriva a un eccesso di velocità si producono quasi inconsciamente gli anticorpi che spingono nella direzione opposta.
Che definizione darebbe dello slow travel?
Uno slow travel è quello in cui c'è un nuovo concetto di lusso, che non è quello di spendere o di accumulare mete e luoghi visitati, ma è proprio il lusso di prendersi il piacere e la libertà di fare cose che nella vita di tutti i giorni non fai, di dare attenzione anche al modo in cui si raggiunge un luogo, di capire quali sono i cibi tipici, di usare mezzi alternativi come il treno, la bicicletta o il viaggio a piedi. Questo tipo di viaggio tra l'altro avvicina molto alle popolazioni locali e rappresenta anche il modo migliore per affrontare il contesto di un paese come l'Italia, che accanto alle grandi mete ha borghi e luoghi sconosciuti, trascurati, tutti da scoprire in un modo alternativo che risulta anche molto divertente.
Quanto ha pesato Kerouac nella composizione del suo manuale sullo slow travel?
Ha pesato molto. Nel mio libro infatti cito proprio un episodio iniziale di On the road quando il protagonista prima di partire si leva l'orologio e lo butta via. Il suo viaggio diventa così senza tempo. Questa tradizione, questo modo di guardare al viaggio, che ha caratterizzato un periodo della storia letteraria e culturale, colpisce ancora l'immaginario giovanile e dunque esercita ancora un potere di attrazione. Questo spiega anche il successo di un film come Into the Wild, il cui protagonista decide di mollare tutto per avventurarsi in Alaska. Da questo punto di vista il viaggio diventa anche metafora di libertà, ed è proprio questo aspetto che colpisce e affascina i giovani.
Lei ha studiato a lungo la letteratura di viaggio del Novecento. Quali autori in particolare hanno ispirato la sua filosofia sul "viaggio lento"?
Questo tipo di letteratura ha ispirato il mio primo libro, Scrittori in viaggio, dedicato all'analisi di 42 testi di scrittori italiani. Una produzione vastissima in cui però privilegio due titoli. Il primo è Lettere dall'India di Guido Gozzano, del 1912, che mi ha colpito perché l'autore inserisce alcuni artifici inventati per dare un'idea di un paese esotico ma riesce con queste invenzioni a dare un'idea dell'India più vera del vero. L'altro libro è di Gianni Celati, Avventura in Africa, del 1997, che è particoalrmente godibile perché descrive se stesso con ironia, non appare preso dal suo ego di artista, e si mette nella mischia dei turisti confessando che ci sono molte cose che non sa e che non capisce. Il modo migliore, secondo me, per avvicinarsi alla comprensione degli altri.

 

Da www.secoloditalia.it

Good Morning, Libya!

Libia: finita la “macelleria umanitaria” è pronto a scatenarsi il conflitto tribale

di Paolo Sensini - 28/10/2011
Fonte: Vita

«Dead or Alive». Con quest’immagine ad alto effetto mediatico e in ossequio alla più trita sceneggiatura di un Western americano, il «comando congiunto» nato-ribelli ha posto mesi orsono una taglia di venti milioni di dollari sulla testa del colonnello Gheddafi. Più «Dead» che «Alive», per dire il vero.
E ora, dopo sette mesi di ininterrotti bombardamenti della North Atlantic Treaty Organization (nato) sulla Libia, eccoci giunti all’atto finale del copione. Un atto finale che però, lungi dal rappresentare ciò che ha ripetuto in coro tutto il circo equestre mediatico, non è affatto una conclusione, ma piuttosto un nuovo inizio: l’inizio del caos pianificato e della guerra tribale in Libia.
Del resto, che il trofeo finale dell’intera operazione Occidente-ribelli fosse proprio lo scalpo del leader libico, è certificato plasticamente dal fatto che, poco dopo la via crucis e l’assassinio in mondovisione del «tiranno», è stato subito posto all’ordine del giorno lo stop delle azioni da parte del Consiglio Atlantico. Il che, se vi fosse ancora un minimo di rispetto per quell’organismo geneticamente modificato chiamato «diritto internazionale», porrebbe già di per sé l’intera operazione sotto il segno della più totale illegalità. Insomma, l’ennesimo strappo giuridico che pone in evidenza, una volta di più, che è la forza a creare il diritto. Non il contrario.
Le risoluzioni 1970 e soprattutto 1973 promulgate dal Consiglio di Sicurezza dell’onu non avevano infatti tra i propri obiettivi dichiarati un Regime change o l’uccisione di leader, ma la semplice «protezione dei civili» (in sigla R2P). Fin dall’inizio tuttavia, e lo dimostrano le oltre 40 mila missioni compiute dall’Alleanza, gran parte degli attacchi militari si sono concentrati proprio nel tentativo di eliminare dalla scena il leader libico. Oltre a riportare le infrastrutture del paese, dopo aver lanciato circa 50 mila tonnellate di bombe ad alto contenuto esplosivo (gran parte delle quali all’uranio impoverito), all’età della pietra. Segno che il vero scopo della missione era questo, altro che «protezione dei civili». Ora, a «missione compiuta», i libici dovranno invero pagarsi completamente di tasca propria la ricostruzione ex novo del paese, che fino all’inizio dell’attacco bellico era il più progredito e avanzato dell’intero continente africano.
Un Gheddafi ancora in vita, in effetti, sarebbe stato un ospite molto inopportuno alla Corte Penale Internazionale all’Aja, dove avrebbe potuto con piacere ricordare tutti i baciamano, i caldi abbracci e gli accordi succosi che l’Occidente bramava, dopo essere stato promosso da «cane rabbioso» (Ronald Reagan) a «nostro bastardo» (George Bush). Avrebbe anche descritto per filo e per segno tutti i retroscena oscuri di questi golpisti che ora si atteggiano a «rivoluzionari» e «democratici» della «nuova Libia».
Così la nato, in ossequio alla sua notoria vocazione di «esportatrice di democrazia» su scala planetaria, si è prodigata fino all’ultimo momento per togliere di mezzo l’ingombrante figura del raìs. È ciò che documenta un reportage di Thomas Harding apparso sul «Telegraph», nel quale viene descritta l’intera dinamica dell’accaduto.
Gheddafi da parte sua, ben lungi dal fuggire dal paese, come ripetevano da settimane tutti i media mainstream, ha combattuto strada per strada, «zanga zanga», come aveva proclamato fin dall’inizio, contro quel disordinato brulichio di «ratti» che sciamava per il paese solo grazie agli incessanti bombardamenti cui è sottoposta da mesi la Libia da parte delle «grandi democrazie» occidentali.
Una volta uscito dalla città di Sirte ridotta ormai a un cumulo di macerie con un convoglio militare di 75 auto, la carovana su cui viaggiava il colonnello è stata subito avvistata dagli aerei spia: un Rivet Joint statunitense (che può individuare l’obiettivo a 250 km di distanza), un C160 Gabriel francese e un paio di Tornado GR4 britannici, oltre al contributo fattivo del Bundesnachrichtendienst (bnd), il servizio segreto tedesco, che pare conoscesse già da settimane il luogo esatto dove si trovava il colonnello. A questo punto un drone Predator MQ-9 Reaper statunitense, decollato da Sigonella e telecomandato via satellite da una base presso Las Vegas, cioè da oltre 10.000 km di distanza, ha attaccato il convoglio con numerosi missili Hellfire («fuoco dell'inferno») a testate anticarro termobariche e a frammentazione. Subito dopo, il convoglio è stato colpito anche da caccia francesi Rafale con bombe Paveway da 500 libbre e munizioni di precisione aasm, anch’esse a guida laser. Questo attacco è stato determinante per la cattura di Gheddafi.
Poi, com’è immancabilmente avvenuto fin dal febbraio scorso su tutti gli scenari bellici via via aperti dai raid delle forze nato, gli «insorti» sono calati come avvoltoi sulla preda salmodiando fanaticamente il consueto «Allah u akbar», mentre si accingevano a terminare la loro opera di macelleria…
Giunti a questo punto, è ormai evidente a tutti che le motivazioni addotte per l’intervento militare nato in Libia sono ben altre rispetto alla «protezione dei civili».
Tra gli obiettivi primari dell’intervento si annoverano infatti la volontà d’impossessarsi delle immense riserve di idrocarburi del paese, di fare propri circa 200 miliardi di fondi sovrani libici presenti nei forzieri occidentali, bloccare la penetrazione cinese nel continente nero, ma soprattutto quello di stroncare sul nascere il tentativo portato avanti dalla Libia di Gheddafi di creare un’unione economica dell’Africa e l’introduzione del dinaro d’oro come suo mezzo di scambio. Se ciò fosse avvenuto, sarebbe stato un colpo terribile per l’egemonia internazionale del dollaro e il perdurare dello sfruttamento coloniale delle immense ricchezze africane.
Benvenuti dunque nella «nuova Libia». Ora le milizie islamiste composte da Senussiti, Fratelli Musulmani, Al-Qa‘ida & Co, finalmente libere di applicare indisturbate la Sharia in un paese che se ne era tenuto fino a questo momento a debita distanza, muteranno le vite delle donne libiche in un inferno in terra. Centinaia di migliaia di africani subsahariani – quelli che non sono riusciti a fuggire – verranno perseguitati e martoriati senza ritegno. Le ricchezze naturali della Libia saranno depredate, com’era del resto già stato pianificato da Washington, Parigi e Londra.
Inoltre, gli arsenali di missili anti-aereo dell’esercito libico di cui si sono appropriati i fondamentalisti islamici diventeranno una ragione estremamente convincente perché la «guerra al terrore» nel Nordafrica diventi eterna. Scorrerà ancora tanto sangue, come probabilmente gli Stranamore atlantici si erano augurati fin dall’inizio. Finiti i bombardamenti nato e conclusa nel modo in cui abbiamo visto la prima guerra, ce ne vorrà una seconda per scegliere il vero vincitore. Good Morning, Libya!

giovedì 27 ottobre 2011

In caso di default?

Locandina_28_ottobre_2011

Venerdì 28 ottobre · ORE 18.00 Presso la sala de "L'Universale" Via Caracciolo 12 Roma: IN CASO DI DEFAULT? La crisi economica e le vie d'uscita per l'Italia e l'Europa.

Interventi di: Paolo Ferraro (Comitato Difendiamo la Democrazia) Claudio Moffa (Univesità di Teramo) Antonio Pimpini (Fondazione Auriti) Luca Sellari (Sindaco di Filettino) Conclude: Roberto Fiore (Segr. Naz. Forza Nuova)

"Storia di quattro anni", versione italiana a cura di Franco G. Freda

 

http://www.edizionidiar.it/image/cavalloalato/halevy-storia-di-quattro-anni.jpg

“Le razze assoggettate riapparvero sulla scena. Senza avere nemmeno bisogno di vincere, esse divennero padrone. Da Shangai a Tangeri, i musulmani, che la legge islamica proteggeva dalle ebbrezze dell’Europa, diedero il segnale del risveglio, che fu simultaneo su quell’immenso orizzonte. Sottomessi fin dal sedicesimo secolo, dal progresso scientifico dell’Occidente, avevano atteso in silenzio, custodendo intatte le proprie forze. Gli africani ripresero l’Africa, gli asiatici l’Asia e dilagarono in Europa. All’interno della Russia, aristocrazie musulmane curde, persiane e mongole conquistarono l’egemonia, mentre i turchi ripresero la loro marcia nella vallata del Danubio.” Siamo nel 2001, ed è solo l’ultima fase del declino dell’Europa descritto da Daniel Halévy nei primi anni del Novecento in Storia di quattro anni. 1997-2001 uscito ora, con la traduzione di Franco G. Freda, presso il Cavallo alato-Edizioni di Ar (pp. 84, euro 9).

Halévy è uno scrittore e saggista francese che nasce nel 1872. Allievo di Stephane Mallarmé, frequenta a Parigi il Liceo Condorcet dove stringe amicizia con Marcel Proust e Léon Blum. Dal 1898 al 1914 collabora con la rivista di Charles Péguy, “Cahiers de la Quinzaine”, dove verrà pubblicato nel 1903 questo suo racconto. Nel 1911 vedrà la luce la prima traduzione italiana, ad opera di Piero Jahier, nei “Quaderni della Voce”, capitanata da Giuseppe Prezzolini. Peguy definirà Halévy “l’immortale autore della Storia di quattro anni”; Anatole France dichiarerà su “l’Humanité” che “Daniel Halévy scrive un ammirevole racconto profetico, per insegnarci che non basta disporre del cibo a buon mercato ma che occorre anche essere virtuosi”. Halévy pensa che se l’uomo dipende dalle condizioni storiche, non è comunque il prodotto del determinismo economico, sommesso a un fatalismo marxista che rende illusoria la volontà umana. E sarà proprio grazie alla volontà degli uomini, che alla fine si riuscirà a lasciarsi alle spalle il mondo degenerato, e si getteranno i semi di una rinascita.

Ma come si arriva all’invasione musulmana? All’inizio del ventesimo secolo, la scoperta di alimenti sintetici a base d’albumina permette di abbassare la durata della giornata di lavoro a due o tre ore. Presto le campagne e i villaggi si svuotano mentre nelle città si accalca una popolazione inattiva, avida di piaceri e distrazioni. I costumi cominciano a degradarsi sotto la spinta della pigrizia. Gli avvertimenti dei saggi sono vanificati dall’azione dei demagoghi, che sfruttano l’abbrutimento delle folle per esercitare il loro potere. I tentativi di diffusione della cultura falliscono dinanzi all’inerzia, all’indolenza e al gusto della facilità. “I sapienti opinionisti dicevano ‘Occorre lasciare a questo nuovo pubblico il tempo di sviluppare la propria educazione - ed esso affinerà i propri gusti…’ Né mancavano ottimisti i quali sostenevano: ‘Abbiamo raggiunto lo scopo. Il pauperismo è sconfitto. L’emancipazione reale è vicina”. Ma così non avviene. La massa si appassiona a spettacoli volgari, cade nell’alcoolismo, s’abbandona all’oppio e alla morfina e a un erotismo frenetico grazie alla scoperta di un farmaco. “Un fisiologo russo, Novgorod, inventò eccitanti che permettevano di morire tra spasimi di godimento dopo cinquanta ore di erotismo continuo. Novgorod era un uomo austero, che divulgò la propria scoperta perché uno scienziato - così pensava - ha il dovere di pubblicare qualsiasi scoperta”. In queste condizioni “il popolo non esisteva più. Tutti i punti estremi della vecchia umanità si erano fusi in un genere unico, molto simile al tipo dell’impiegato del diciannovesimo secolo, debole gaudente in abito borghese. Questa razza disprezzava l’ebbrezza del vino che fa cantare, bramava piuttosto le ebrietà silenziose e i vizi segreti”.

Fiaccati così nel fisico e nello spirito gli uomini non riescono a opporsi nel 1997 a un’epidemia che decimerà la popolazione occidentale. Questo male sconosciuto devasta le difese immunitarie dell’organismo, permettendo il riemergere di malattie che si credevano debellate. La dissoluzione dei costumi, l’esplodere della malattia, l’invasione musulmana non sono solo un segno di debolezza dei singoli, ma anche il sintomo del declino di una civiltà. D’altronde “una volta vinti tutti i nemici, una volta soppressi i pericoli che le tenevano in esercizio, in forma, le specie scompaiono… Ecco la ragione per cui, al culmine del loro trionfo, gli europei muoiono: ormai non hanno niente contro cui combattere e cadono… La forza, la perfezione fine a sé stesse potevano perseguirle e praticarle alcuni, solo alcuni: il loro era un sogno eroico”. Da questi uomini, da un atto di volontà di piccoli sodalizi, dediti allo studio, a una vita disciplinata e all’amicizia, fiorirà l’uscita dalla crisi. “Nella Bibbia - scrive Halévy - parecchie storie somigliano alla nostra di oggi: il Diluvio, Babele, Gomorra. Ricorda? Le genti muoiono a miriadi, ma poi c’è un giusto che salva tutto e tutti. Bene, i giusti ci sono anche oggi: sopravvivranno”.

Recensione di 'Storia di quattro anni', su Libero del 17 gennaio, a cura di Simone Paliaga

Dal sito delle Edizioni di Ar:

Autore: Daniel Halévy
Titolo: Storia di quattro anni. 1997-2001
Collana: Il Cavallo alato
Prezzo: 9,00€

1925: gli scienziati scoprono una sostanza capace di sfamare l’uomo evitandogli le fatiche del lavoro. Frotte di operai, impiegati, coatti di ogni sorta si vedono restituita la libertà di disporre del proprio tempo, mentre il loro stipendio rimane inalterato. L’eccitazione dilaga, ma presto diviene sovreccitazione, e poi follia. Gli ospedali si riempiono dei malati di libertà. Terribile, lì, un morbo insinuante, sconosciuto si incarica dell’esecuzione pubblica della più dolce tra le utopie, Liberté, falcidiando i dissoluti apologeti del vacuo, i liberati allo sbaraglio. Solo piccole sodalità di uomini retti, disciplinati, sobri resistono. Il morbo non li sfiora. Saranno loro ad averlo diffuso per disamore del popolo?… Questo romanzo vaticinante, perfetto, scritto nel 1903 da Daniel Halévy, è la versione narrativa delle migliori intuizioni di Friedrich Nietzsche. Quasi un esemplare unico nel corpus della letteratura, sempre cauta e a disagio di fronte alle possibili implicazioni pratiche della ‘psicologia’ nietzscheana. Potremmo anche dire che Halévy è il Proust della politica. Un’amicizia lo legava all’autore della Recherche, ma l’uno ha applicato il proprio inusitato, leggiadrissimo esprit de finesse ai meandri inesauribili di un cuore, l’altro ha dilatato e insieme semplificato i termini della cerca. L’uno si è dedicato all’uomo come individuo, l’altro all’uomo come genere. Eppure, si costringesse Proust, il descrittore impareggiabile delle fioriture primaverili, dell’azzurro della cintura di Ginevra, della bellezza più densa e più rara, lo si costringesse a commiserare l’uomo fino a volergli suggerire il modo di salvare sé stesso nel mondo, potrebbe mai, questo aristocrate dell’attenzione, additare qualcosa di diverso dalle caste? Quelle caste che sono, per Halévy, le colonne doriche dello Stato in ordine - l’unica, l’estrema possibilità di salute pubblica e di condivisione e apologia della bellezza, della magnanimità, della sapienza.
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mercoledì 26 ottobre 2011

PayPal Access, il login unico per gli acquisti online

Addio alle registrazioni multiple: con le stesse credenziali è possibile effettuare il login e fare acquisti su moltissimi siti.

[ZEUS News - www.zeusnews.com - 25-10-2011]

PayPal Access

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L'e-commerce, complice la possibilità di abbattere i costi rispetto al negozio tradizionale e la facilità di accesso in qualunque momento - dal PC di casa o in mobilità - è divenuta una parte importante delle vendite. 

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Denuncia allo Stato italiano


INVITO CONFERENZA STAMPA
IL TENORE JOE FALLISI DENUNCIA LO STATO ITALIANO PER VIOLAZIONE DELL’ART. 11 DELLA COSTITUZIONE IN MERITO ALLA GUERRA CONTRO LA LIBIA
Conferenza Stampa
GIOVEDI’ 27 ottobre 2011
ORE 11.30
(Presso la Sala “Rachele” dell’Hotel Royal Santina
Via Marsala 22, Roma)
Il tenore Giuseppe (Joe) Fallisi giovedì 27 ottobre 2011 depositerà nel tribunale di Roma, assistito dall'avv. Luca Tadolini, una denuncia contro lo Stato italiano in merito alla guerra alla Libia nella quale i vertici del medesimo hanno trascinato il nostro Paese. Formalmente la denuncia sarà contro "ignoti", ma è chiaro che riguarderà tutti i responsabili politici (dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Primo Ministro Silvio Berlusconi, ai deputati e senatori che col loro voto hanno consentito l'entrata in guerra dell'Italia, persino poi ri-finanziando la "missione") di questo atto tragico e disonorevole. E' stato, a parere del denunciante, apertamente violato l'articolo 11 della Costituzione, che vieta al nostro Paese di far guerra.
Esso dice infatti:
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
A giudizio di Joe Fallisi le possibili "limitazioni di sovranità" di cui pure recita alla fine tale articolo NON possono costituire una radicale contraddizione con la frase chiara che apre l'articolo stesso. Ciò in cui siamo impegnati attualmente non è nient'altro, e a tutti gli effetti, che "guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli", tanto più dopo le ultime decisioni che hanno portato i nostri stessi aerei a bombardare il suolo libico - di un Paese che a noi non si è mai sognato di dichiarare nessuna guerra. Oltre a questo, a tristissima integrazione, si è violato il "Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la grande Giamahiria libica popolare socialista" firmato tre anni fa congiuntamente da Gheddafi e da Berlusconi. Esso, tra l'altro, prevede



il rispetto dell’uguaglianza sovrana degli Stati; l’impegno a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica della controparte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite; l’impegno alla non ingerenza negli affari interni e, nel rispetto dei princìpi della legalità internazionale, a non usare né concedere l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile nei confronti della controparte; l’impegno alla soluzione pacifica delle controversie.
Circa duecentomila cittadini libici sono morti finora a seguito dell'aggressione neo-coloniale e predatoria nella quale l'Italia è sciaguratamente coinvolta. Un intero Paese prospero, progredito e pacifico con falsissimi pretesti "umanitari" è stato bombardato, distrutto e inquinato in eterno e si è dato "riconoscimento" statuale al golpe di un'infima minoranza di tagliagola fanatici e ultrareazionari che, anche col nostro appoggio, si sono scatenati (e continuano sotto i nostri occhi debitamente chiusi) in una mostruosa pulizia etnica razzista. Inoltre abbiamo fornito il nostro tacito assenso alla campagna di killeraggio mirato di tutta la dirigenza della Giamahiria, che da ultimo ha visto la tortura e l'assassinio di Muammar Gheddafi e di suo figlio Mutassim. Si sarebbe potuto decidere, come la Germania, di non partecipare a questi orrori. Chi ha fatto la scelta opposta ora deve essere chiamato a risponderne.

martedì 25 ottobre 2011

Il lato marcio della mela di Jobs

Ritmi massacranti per produrre l’iPhone

20 ottobre 2011

| Stefano Trincia

nuovi schiavi

“Lo schiavo” recita il cartello realizzato per denunciare i suicidi alla ditta Foxconn

Genova - Finito il cordoglio, chiuse col lutto le celebrazioni di un mito del 21esimo secolo, per Steve Jobs e la sua Apple è il momento della denuncia e delle polemiche. Sarà la brutta aria che tira per i Vip del capitalismo Usa, o la contestazione aperta degli squali di Wall Street in decine di città americane. Sta di fatto che anche lui, il padre dei Mac, degli iPhones e iPads, idolo di milioni di giovani consumatori, entra nel mirino della contestazione. Di mezzo ci sono le brutali condizioni di lavoro nella fabbriche che sfornano centinaia di migliaia di gioiellini elettronici della linea Apple. Fino agli anni ’90 venivano prodotti in California. Con l’alba del nuovo secolo Jobs ha delocalizzato, trasferendo le operazioni nella ben più conveniente Cina comunista. Ed in particolare nella città-lager di Shenzhen, dove vede la luce oltre il 50 per cento dell’elettronica di consumo del mondo.

Di lì è apparso “il lato marcio della mela di Jobs”, secondo quanto hanno scritto i giornali anglo-americani. Da detonatore della controversia ha fatto uno spettacolo teatrale itinerante che da un anno è in tournée negli Stati Uniti e all’estero. Si intitola “The agony and the ecstasy of Steve Jobs”, l’agonia e l’estasi di Steve Jobs. Ne è autore Mike Daisey, un artista che ha deciso di mettere in scena il suo monologo in nome del suo amore per Jobs e la Apple, di cui è un fanatico seguace. E dello sgomento provato nello scoprire dove e come nascono i meravigliosi prodotti elettronici della casa.

«Sono cresciuto con iMac, iTunes, iPhone, iPad, hanno cambiato in meglio la mia vita – ha dichiarato Daisey al New York Times – mi ha sempre stregato lo stile di Jobs, il suo approccio etico, anticonformista al mercato ed all’industria. E ho quindi deciso di andare a vedere in Cina il cuore pulsante della Apple. Non mi aspettavo di scoprire ciò che ho scoperto». Lo show, partito in sordina, è progressivamente decollato con la malattia e quindi con la scomparsa di Jobs. Squarciando il velo del lutto collettivo. «Ho cercato di visitare gli impianti della Apple ma senza successo – ha spiegato Daisey – mi sono dovuto spacciare per un industriale americano per entrare nel parco industriale, e sono rimasto di stucco».

L’impero cinese di Jobs ha sede a Shenzhen e Chengdu, due centri urbani a crescita demografica ed economica esponenziale che rappresentano il principale snodo planetario per l’elettronica di consumo. Fino ad un decennio fa erano poveri villaggi di pescatori non lontano da Hong Kong. Con investimenti cinesi e stranieri che hanno superato i 300 miliardi di dollari, sono ora formicai umani con più di cinque milioni di abitanti. Il centro motore di Shenzhen è il polo industriale Foxconn Technology: un autentico girone infernale che accoglie mezzo milione di operai del settore elettronico e che lo scorso anno finì sulle prime pagine di mezzo mondo per la nutrita, tragica serie di suicidi di lavoratori ridotti alla disperazione.

L’inchiesta congiunta di due Ong americane ha scoperto due mesi fa l’orrore delle fabbriche Foxconn, dove trovano ospitalità i più importanti marchi industriali del mondo. In particolare nei laboratori di montaggio di iPad e iPhone, ai lavoratori viene sottoposto al momento dell’assunzione l’impegno a non tentare il suicidi o. Nel caso l’operaio dovesse porre fine ai suoi giorni, i familiari riceverebbero il minimo dei risarcimenti previsti dalla legge.

Una volta al tavolo da lavoro, i ritmi sono massacranti: dodici, quindici ore consecutive a montare apparecchi elettronici, fino a 100 ore di straordinari obbligatori al mese. Divieto assoluto di parlare con i colleghi durante il lavoro, camerate per 24 persone con lettini a castello in dormitori a dir poco precari.

«Condizioni bestiali – ha raccontato Daisey – che sono peggiorate negli ultimi mesi con il boom di richieste mondiali dei prodotti Apple».

Le autorità cinesi hanno negato che ci siano a Shenzhen situazioni di semi schiavismo. Ma sono state proprio loro, insieme ai sindacati, a denunciare la Gucci di recente. La casa italiana di proprietà del colosso francese Pinault, avrebbe negato alle lavoratrici incinta acqua e cibo durante il turno, tanto da provocare aborti spontanei.

http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2011/10/20/AOPkXNFB-della_lato_marcio.shtml

Ndr: Nella vita degli uomini mai è stato, mai è, mai sarà o tutto bianco o tutto nero.

Facebook ti conosce anche se non sei iscritto

Il social network è accusato di costruire "profili ombra" di chi non è iscritto, partendo dalle informazioni inserite dagli utenti.

[ZEUS News - www.zeusnews.com - 24-10-2011]

Europe versus Facebook profili ombra

Mentre Facebook si prepara ad affrontare l'inchiesta aperta dal Garante per la Privacy irlandese, le accuse contro il social network preoccupano sempre più gli utenti europei.

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lunedì 24 ottobre 2011

Berlusconi non ha le palle

crisi europea

EUROPA INFORMAZIONI

antonino-amato800@alice.it

Berlusconi non ha le palle”.

E tutti se ne approfittano

Perché uomini non vedo, vedo un pugno di pagliacci” (da un poetastro del mio paese).

Berlusconi non ha le palle. Su questo non ci piove: aveva accennato ad una sorta di “politica nazionale” con gli accordi stipulati con la Libia di Gheddafi. E molti ci eravamo detti: “pazienza per certe insolenze del colonnello”. Ma poi si è rincantucciato come un canuccio impaurito, quando gli è stato ordinato di marciare. Ha marciato contro Gheddafi, rimangiandosi un’amicizia ostentata fino al ridicolo. Ragione per la quale Obama ringrazia la Francia e l’Inghilterra (che hanno partecipato alle operazioni belliche), ringrazia la Germania (che non ha partecipato alle operazioni belliche); ma non ringrazia l’Italia che ha partecipato alle operazioni belliche, fornendo armi e basi. Ben gli sta: nessuna considerazione per i pusillanimi.

Berlusconi non ha le palle. Contrariamente non consentirebbe di essere insolentito dagli organismi europei. Prima con la “lettera della BCE”, firmata da Trichet e da Draghi ed oggi con le sollecitazioni a varare un “piano di sviluppo”. E risponderebbe per le rime. Perché..... Perché, se Berlusconi non ha le palle, neppure il duo Merkel/Sarkozy hanno le palle, perché anche i pallidi burocrati, che parlano a nome dell’Europa, non hanno le palle. E tutti quanti recitano una commedia. Con tanto di commenti pro e/o contro di politici, economisti e giornalisti. Tutti senza palle, tutti aggreppiati ai poteri usurai.

***

Parole in libertà? Nossignori. E’ un fatto che Cina, Giappone, Inghilterra ed USA, in questi frangenti, stanno stampando “carta moneta”. E’ un fatto che tutti gli “Stati sovrani”, trovandosi in queste contingenze, sono ricorsi alla stampa di “carta moneta. Solo la “pallida Europa” gioca a fare la virtuosa, solo la pallida Europa si ostina ad “attingere dai mercati”. Facendo la felicità degli speculatori.

Perché in Europa non ci sono “Statisti”. Perché in Europa non ci sono “politici”, Perché in Europa non ci sono “uomini”. In Europa ci sono solo pagliacci, marionette in mano agli usurai della Terra. Ragione per la quale noi Europei non abbiamo futuro. Almeno finché non manderemo a vaffanculo Berlusconi (e i suoi critici), il duo Merkel/Sarkozy, i tanti burocrati, che parlano e discettano a nome degli Europei, ma nell’interesse degli usurai e degli speculatori.

Domanda: dove stanno gli Europei? Io non so, io non li vedo. Anzi, per essere più precisi, vedo solo alcuni “cani rognosi” che parlano di “patriottismo europeo. La massa è frastornata e segue strade senza soluzione.

Credo quia absurdum. Credo nell’Italia e nella sua impossibile resurrezione”. (Ezra Pound).

Antonino Amato

domenica 23 ottobre 2011

La poltrona del Re

la poltrona del re

NOVITA' IN LIBRERIA

FABRIZIO RINALDINI
LA POLTRONA DEL RE
(Giallo)
Collana: I Gialli Agemina
AGEMINA ISBN 9788895555423
Pagg. 288 – Euro 18,00


Fabrizio Rinaldini, toscano, al suo secondo romanzo giallo, con “La poltrona del re” dà una prova magistrale di giallista e narratore abile nel creare atmosfere realistiche e nel tenere il lettore col fiato sospeso, in un crescendo di tensione, di curiosità, di concretezza, fino all’ultima pagina.
Il giallo trae origine dalla guerra civile del 1944, combattuta in questo caso nel contado fiorentino con piena vittoria di pochi ‘eroici’ partigiani tra i quali trova posto anche qualche evaso dal carcere di Santa Teresa a Firenze. Un antefatto, dunque, che ha i colori della storia e che trova il suo sviluppo e il suo tragico epilogo negli anni ’90.
L’imprevisto e l’imprevedibile tessono tutto il plot con una successione di colpi di scena, di piccole realtà, il cui risvolto finale si evolve in modo del tutto inatteso. I delitti appaiono così ben mascherati da far pensare a una serie di suicidi e il lettore, dopo le prime pagine, viene coinvolto in una specie di intrico dove lui stesso diventa il protagonista che indaga ed esplora per conoscere il lato oscuro della vicenda e arrivare alla soluzione finale. Così le pagine si dilatano, si ingrossano, in una prodigiosa affabulazione, in un dispiegarsi di turbamenti e suggestioni e il percorso, tra sussulti e delusioni, si fa sempre più incalzante, enigmatico, tormentato, travolgente. E, a distanza di 50 anni, quando tutti hanno già dimenticato quella triste pagina di storia del ’44 e qualcuno, dal passato oscuro, sta tentando la scalata politica, Gianna, nipote della prima vittima - vittima lei stessa di una lacerante violenza giovanile - e il suo compagno, Simone, con testardaggine e pochissimi labili indizi in loro possesso, lottano per risalire alla fonte dei misfatti e incastrare gli autori del diabolico piano.
Gianna e Simone, protagonisti del romanzo, sono descritti con eccezionale forza pragmatica, ma anche gli altri personaggi de “La poltrona del re” sono delineati in modo così chiaro e incisivo da lasciare un’impronta indelebile, come Ezio o Lisetta Marchini, quasi scolpiti con pochi energici tratti. Perché una delle caratteristiche letterarie di Fabrizio Rinaldini è quella della scrittura asciutta, scarna, ma vigorosa ed eloquente.
L’amore tra i due protagonisti gioca la parte dominante del romanzo mentre un gatto sornione riempie la scena con la sua presenza davvero ineffabile.
Fabrizio Rinaldini è nato 55 anni or sono nel comune di Scandicci e lì attualmente risiede dopo vari trasferimenti.
Una militanza politica decennale e una lunga disavventura giudiziaria gli hanno permesso di assaporare l’equanimità dell’italica legge. Dopo un matrimonio durato poco e finito male, qualche anno trascorso in Africa e in America del Sud per lavoro, molte amicizie sbagliate e poche “fratellanze” vere e proprie, più di un legame sentimentale finito peggio del matrimonio, ha deciso che la cosa più divertente di tutte è scrivere.
Così scrive per gioco e legge per passione. Ama la letteratura e la storia. Frequenta archivi e biblioteche per ricerche improbabili, traduce articoli dall’inglese, fra lunghe camminate a passo veloce (quelle che i salutisti maniaci chiamano fitwalking), molti libri letti e tantissimi da leggere, qualche concerto, un po’ di teatro e il lavoro di sistemista informatico.
Non cambierebbe il luogo in cui vive neppure con un attico a Manhattan con vista sull’Hudson, mantiene vivi i legami con la propria comunità ideale, ama i gatti, la birra Weisse, i Pink Floyd, Shakespeare, l’irraggiungibile Céline e ‘Non, je ne regrette rien’ di Edith Piaf che (potenza dei numeri) è stata scritta nello stesso anno in cui è nato.
Ha pubblicato il suo primo giallo di successo: “In morte di un collega” con Sassoscritto Editore.

Le ballate di papà Ivan tornano a incantare

Ivan graziani

Federico Zamboni
Questa è una piccola storia. E se la lasci piccola, un po' defilata, un po' provinciale, nel senso buono del termine, allora è anche una bella storia, che accetta il rischio di essere tacciata di opportunismo e tira dritto per la sua strada, confidando di possedere abbastanza forza, artistica e umana, da smentire l'accusa. Non subito. Non a priori, con le parole di una discussione astratta, ma con le emozioni di quello che si è capaci di suonare e di cantare.
E se poi si desidera una canzone-manifesto, per replicare alle insinuazioni, caso vuole che sia parte integrante del racconto e che esista già da parecchi anni: si chiama Maledette malelingue e venne presentata al festival di Sanremo del 1994. Parla di una ragazzina di quindici anni che si vede con un uomo «adulto, tanto più grande di lei». Magari si incontrano solo per chiacchierare (e se pensate che è impossibile potete anche smettere di leggere in questo preciso istante) ma per i pettegoli del luogo la "verità" è di tutta evidenza: c'è sicuramente di mezzo il sesso, e perciò qualcuno deve prendersi la briga - «e di certo il gusto», come la dannatissima vecchia zitella di Bocca di rosa - di informare suo padre, che infatti reagirà com'è facile immaginare, rinchiudendola in casa a tempo indeterminato. Chiaro: «certe puttane vanno punite».
In questa storia i personaggi principali sono tre: un padre che è morto il primo gennaio 1997 e che è stato un cantautore famoso, anche se in qualche modo sottovalutato, e i suoi due figli, a loro volta musicisti, che si chiamano Filippo e Tommaso. Il padre, ovviamente, è Ivan Graziani, chitarrista di buon livello e cantante dotato di una voce acuta ma virile, lontana anni luce dal falsetto posticcio, e insopportabile, alla Cugini di campagna di Anima mia. Filippo suona a sua volta la chitarra e canta, con un timbro alquanto simile a quello del babbo. Tommaso (Tommy) è un batterista. Insieme, e con il supporto di tre degli strumentisti che accompagnarono Ivan nel corso delle sue tournée, hanno dato vita a un progetto che prima si è snodato in una lunga serie di esibizioni in giro per l'Italia, e che ora è diventato anche un album. Intitolato, con la massima semplicità possibile, Filippo canta Ivan Graziani.
Giocoforza, viene in mente l'iniziativa di Cristiano De André, che ha riproposto i brani di suo padre Fabrizio tanto in concerto quanto su disco. Ma sia pure senza alcuna contrapposizione, e anzi con parole di stima, Filippo spiega che nel suo caso ci sono due grandi differenze: «La prima è che non ci sono rivisitazioni sugli arrangiamenti dei brani. Abbiamo semplicemente riproposto i pezzi come erano su disco, proprio per dare un taglio estremamente filologico. La seconda è che io purtroppo non ho avuto mai la possibilità di confrontarmi con mio padre a livello artistico, e quindi la mia è come se fosse una rincorsa, una riscoperta di un repertorio che è sempre stato parte di me».
È un rimpianto inevitabile, per chi è rimasto orfano anzitempo. Filippo è nato il 26 giugno dell'81, a Rimini, e dunque non gli è stato concesso il tempo di conoscere suo padre così a fondo come avrebbe voluto: non solo nella relazione essenzialmente affettiva, cioè calda e indiscriminata, e assai più colma di premure che di vera attenzione/comprensione, che si stabilisce nell'infanzia; o in quella problematica e costellata di tensioni, talvolta segrete e talvolta esplicite (e spesso tanto più segrete nella sostanza quanto più esplicite nella forma), che è tipica dell'adolescenza. Filippo ha avuto il privilegio, a doppio taglio, di avere un padre che non era una persona ordinaria e che poteva diventare un interlocutore importante, una volta che ci fossero state le condizioni per un rapporto più maturo. Da pari a pari, o quasi. Due persone di età diversa e di esperienze differenti, ma accomunate dal fatto di avere alle spalle più di qualche battaglia col mondo. Qualche vittoria, qualche sconfitta. Qualche ferita che stenta a guarire (Dicono che alla fine passa tutto, pa'. Ma a me non sembra mica.) e qualche successo che si è affievolito un po' troppo in fretta. Meglio che niente, ma te lo immaginavi come un tesoro per sempre e invece era un mucchio di denaro che è finito fuori corso. Banconote che restano belle da guardare. Banconote che non si possono più spendere.
Ma con le canzoni, per fortuna, non è così. Le canzoni, se non sono solo il riflesso di mode passeggere, non vanno mai fuori corso, o quantomeno ci mettono un sacco di tempo. «Le canzoni di mio padre - sottolinea Filippo, in una bella intervista a Matteo Chiavarone - erano sicuramente molto avanti rispetto al periodo e lo dimostra il fatto che sono di una grande attualità anche oggi. Mio padre è sempre stato un outsider nella scena cantautorale del periodo, mai politicamente schierato e schivo nel rapporto con i "giganti" della critica dell'epoca».
Ivan Graziani ha pubblicato una quindicina di album, se si parte dall'esordio su un'etichetta di spicco come la Numero Uno di Mogol e Battisti, con Ballata per quattro stagioni. I figli si sono concentrati sui brani più noti, in una sorta di "the best" alla memoria: si comincia con Fuoco sulla collina, con quella sua inquietudine visionaria che ne fa davvero una delle gemme da non dimenticare, e si prosegue con la stessa alternanza di pezzi più serrati e di ballate avvolgenti che è stata uno dei tratti distintivi della discografia originale.
Ivan era molto rock, in questo. Non solo sul piano sonoro, ma anche su quello dei testi. Il bene e il male che si intrecciano, che si aggrovigliano, che ti illudi di aver capito come e poi il primo che passa tira un filo, quasi distrattamente, forse malignamente, e ti ritrovi in trappola. I suoi figli, per ora, si dedicano a rendergli omaggio riproponendone il lavoro, ovvero la sensibilità. Sono una sorta di cover band, ma a partire da un legame famigliare. Quella che per altri è una scelta, o una conquista, o un regalo, per loro due è un'eredità. Cioè un altro tipo di dono, con qualche obbligo, e qualche diritto, in più.

Da www.secoloditalia.it

venerdì 21 ottobre 2011

Addio definitivo a Google Buzz

 

Doveva trasformare Gmail in un social network. Chiuderà entro poche settimane.

[ZEUS News - www.zeusnews.com - 20-10-2011]

Google Buzz addio

 

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Un altro omicidio internazionale

altGheddafi

Gli avvoltoi delle oligarchie usuraie hanno assassinato Gheddafi. Si tratta del secondo Capo di Stato regolare e legittimo assassinato dopo un'invasione militare straniera. Noi serial-killer avevamo dato l'avvio con Saddam Hussein.
Con Massoud è il terzo capo assassinato dai "liberatori" cui noi abbiamo fornito, proni, le basi aeree e le menzogne dei lacché. Vergognamoci.

Da www.noreporter.org

giovedì 20 ottobre 2011

Conferenza su "lavoro tra flessibilità e liberalizzazioni”

Locandina Lavoro

Conferenza incentrata sul destino del lavoratore al tempo dell'economia globale. Relatori:  Stefano Conti,rappresentante sindacale,Francesco Rondina,avvocato del lavoro,Giorgio Vitangeli direttore della rivista "La Finanza" ore 18,30 venerdi' 21 ottobre via F.Caracciolo12 Roma presso la galleria delle arti-libreria “L’Universale”

mercoledì 19 ottobre 2011

Conferenza di Rogno - Anticapitalismo.it

Rogno

Sabato 22 ottobre si svolgerà a Rogno la prossima presentazione del libro di Salvatore Tamburro "La via del denaro" presentato da Paolo Bogni nell'ambito delle iniziative di Anticapitalismo.it.

In scaletta sono state introdotte interessanti novità, come la proiezione di filmati e un'introduzione alla recente questione islandese.

La conferenza si terrà alle 16.00 a Rogno (Bg) organizzata da LiberaMente – Libreria Raminga presso la sala conferenze della A.T. Srl di via Golgi 10.

Per informazioni contattateci via mail.

UE: vietato fabbricare farmaci con embrioni umani

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La Corte di giustizia dell'Unione Europea condanna l'uso di embrioni umani per la fabbricazione di medicinali.

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domenica 16 ottobre 2011

E tutti uniti i morti con i vivi

17ottobre

Il 17 ottobre alle 18 in piazza Vescovio. Per reclamare il rispetto dei nostri Caduti

Roma, guerriglia black bloc 70 i feriti, tre sono gravi

Vigili in azione a Roma. Ansa
Vigili in azione a Roma. Ansa

Evidentemente erano atleti in allenamento visto che anche “La Gazzetta dello Sport” se ne è occupato.

Roma, 15 ottobre 2011
La manifestazione pacifica degli indignati si trasforma in una giornata di guerriglia per l'intervento di teppisti incappucciati che hanno messo in ginocchio la capitale, tra negozi in fiamme, bombe carta e auto distrutte. La polizia interviene per limitare i danni con idranti e lacrimogeni. 12 arresti. Un blindato in fiamme, salvi i due carabinieri a bordo.

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giovedì 13 ottobre 2011

"Viajeros de Tango" musica dall'Argentina

VENERDI' 14 OTTOBRE ore 21.00 a Roma presso L'UNIVERSALE via F.Caracciolo 12 "Viajeros de Tango" musica dall'Argentina.

APPUNTAMENTO MUSICALE DA NON MANCARE!

E' meglio prenotare info:3394987052

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martedì 11 ottobre 2011

Il “doppio” Pavolini nel ritratto poco obiettivo di un giovane storico

Da www.secoloditalia.it

Alessandro Pavolini

C’è un Pavolini doppio, triplo, quadruplo? Noi non la pensiamo così. E crediamo abbia visto giusto Montanelli che in una sua Stanza sul Corriere (12 maggio 1998) scrisse: «In Pavolini è riassunto il dramma
di una generazione che nel fascismo era cresciuta, nonostante tutte le delusioni ci aveva creduto, e si sentiva impegnata a crederci anche in quell’ultima disperata fase». Tutto qui, né più né meno. E di fronte a lui, a Berto Ricci, a tutti gli ostinati fedelissimi, Indro, approdato all’antifascismo ma memore dei suoi camerati, “si toglie il cappello”. Provaci anche tu, Giovanni. Prova a fare lo storico. Con “intelletto
d’amore” e senza livore.

Mario Bernardi Guardi

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Capolavori della narrativa, dal catalogo delle Edizioni di Ar

...10 ottobre 2011


Capolavori della narrativa, dal catalogo delle Edizioni di Ar

(Un omaggio, a nostra scelta, a coloro che chiederanno uno o più libri da questa lista).

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Drieu La Rochelle P. - Gilles. [...] Dunque sarò sempre eresiarca. Gli dei che muoiono e che rinascono: Dioniso, Cristo. Niente si fa senza sangue. Bisogna morire incessantemente per rinascere incessantemente.[...]. Pp. 638. Edizioni di Ar - Adel. Euro 39,00

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Autore: Gustav Meyrink

Titolo: Il viso verde

Collana: Il Cavallo alato

Prezzo: 21,00€

Con l’agilità del grande narratore Meyrink sparge in questo romanzo, quasi un ‘racconto iniziatico’, nozioni sapienziali: la lettura de Il viso verde diventa analoga a una visione. Una potenza luminosa (numinosa?) irrompe nel crepuscolo dell’anima contratta del protagonista, Fortunat Hauberisser. Grazie anche all’integrazione con il suo doppio femminile, Eva van Druysen, egli può incontrare così occasioni propizie al compimento graduale del proprio risveglio spirituale.


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Autore: Jean Raspail

Titolo: Il Campo dei Santi

Collana: Il Cavallo alato

Prezzo: 20,00€

Guidata da un personaggio carismatico, soprannominato il “coprofago”, una folla immensa di paria s’impadronisce di un centinaio di imbarcazioni fatiscenti all’àncora nel porto di Calcutta. Inizia così una massacrante odissea che si concluderà dopo due mesi con l’approdo dell’“armata dell’ultima chance” sulle coste della Francia. Composto nel 1973, il romanzo di Raspail prefigura, e descrive con nettezza, i fenomeni che, a ritmo sempre più incalzante, si stanno oggi verificando.

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Autore: Jean Mabire

Titolo: Il dio della guerra. Il barone Roman Feodorovic von Ungern-Sternberg

Collana: Il Cavallo alato

Prezzo: 20,00€“Inesorabile, come solo un asceta sa esserlo. La sua impassibilità sopravanzava tutto ciò che si può immaginare in proposito. Unicamente un essere incorporeo, dall’anima algida come il ghiaccio, che non provasse né dolore né compassione né gioia né tristezza, avrebbe potuto, forse, conoscere simile imperturbabilità.” Questa, nel racconto di un suo compagno d’arme, la insegna del generale-barone von Ungern-Sternberg. Imperversò, il mistero del fulvo “barone sanguinario”, come la grande passione del monaco guerriero, personificazione del dio della guerra. Ce lo lascia presagire questa ‘fulgurale’ narrazione di Jean Mabire.

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Autore: Jack London

Titolo: Il vagabondo delle stelle

Collana: Il Cavallo alato

Prezzo: 20,00€

Romanzo ‘spirituale’ di Jack London, dove reale e fantastico si confondono senza posa. La rappresentazione del violento universo carcerario si alterna, infatti, a racconti e riflessioni sui rapporti tra spirito e materia, che bordeggiano i concetti di evoluzione, di “memoria atavica” e reincarnazione. Segregato in una cella di isolamento, il protagonista dell’opera riesce ad annullare temporaneamente le costrizioni del corpo fisico e a librarsi incontro al proprio sé immortale.

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Autore: Riccardo Bacchelli

Titolo: Un amore in guerra

Collana: Le librette di controra

Prezzo: 19,00€

“Pensava che tutta la vita è simile a quel suo mestiere di disegnar strade senza capo, confuse nella morte”. Così sentiva Enrico De Nada, barone napoletano prestato alla caccia bellica, nei dintorni di Caporetto. Così vibrano le parole spiccate con cui Bacchelli è riuscito, in questo assoluto capolavoro letterario - libro nel libro de La città degli amanti -, a dire della consanguineità tra amore e guerra. La guerra. La “guerra del badile”, scavare trincee, resistere, resistere, attaccare senza speranza, e, come interludio, vedere la testa del proprio amico sbalzata da un colpo di artiglieria, vedere ogni minuto la vita precaria in grembo al caso. La guerra ancora nell’azzardo livido della ritirata. Dove, braccato, De Nada inciampa nella grazia di Cecchina Gritti, quando è troppo cieco e troppo stanco per opporre le proprie cautele all’amore. Divampa la passione clandestina tra i due: la resa dell’una all’altro, dell’uno all’altra: ancora guerra. E il soldato, che ora non crede a nulla se non ai miracoli, non ha cambiato mestiere. Prosegue nell’avventura umana, disegnando strade senza capo, confuse nell’amore.

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Autore: Ferdinand Ossendowsky

Titolo: Il lupo del Lago Nero

Collana: Le librette di controra

Prezzo: 11,00€

Questi tre limpidi gioielli letterari descrivono l’indole di tribù arcaiche, dove l’innamoramento non è il facile e fatuo non plus ultra della passione, ma soggiace a ben più alti, abissali imperativi. Riti assoluti, figure essenziali, ministri inferi della catastrofe muovono insieme ad arcangeli della libera offerta di sé, agenti di perdizione totale si alternano ad agonisti di una altrettanto totale dedizione: il monaco nero, infausto profeta “di bragia” e Bibi-Enè, la soave tredicenne “prima moglie” kirghisa, offerta come dono incondizionato all’autore da Suliman, il capo tribù, in ricordo della salvezza dalla cancrena. Cacciatori e fedeli, spose e guerrieri, e, sullo sfondo, il Lago Nero, donde gli attori del drama vitae appaiono e dove torneranno, infine, scambiandosi forse le maschere per una nuova recita e giocando, trasfigurati da questa estrema luce di tenebra, a ritrovarsi.

Autore: Mario Appelius

Titolo: La cosacca del barone von Ungern

Collana: Le librette di controra

Prezzo: 10,00€

Il barone Fiodorovic von Ungern-Sternberg è una figura in sé erotica. Come tutti i guerrieri con intenzione. Ne disse Julius Evola: «Si vuole che una grande passione avesse ‘bruciato’ in lui ogni elemento umano, non lasciando sussistere che una forza incurante della vita e della morte». La sete di vittoria, di eccessi, di preda, le sue brame così intense da assurgere al calor bianco e divenire sovrumane, vengono qui narrate dalla penna errante e preziosa di Mario Appelius, e filtrate attraverso gli occhi di una cosacca che al barone si accompagnò. Fantastica storia di «gloria e brigantaggio», di trionfi e rese: di «grande passione», appunto.

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Luciano di Samòsata

Titolo: Lucio o l’asino

Collana: Le librette di controra

Prezzo: 10,00€

“Un giorno una straniera, molto ricca e piacevole d’aspetto, si infiammò di desiderio per me e, vedendo questa bellezza d’asino e la stranezza dei miei modi, le venne il desiderio di farsi possedere da me”. Di come il giovane Lucio venne trasformato da una streghetta in asino. Di come l’asino, membruto, divenne perfetto e richiestissimo gigolò… Questa la trama del beffardo, crepitante racconto di Luciano di Samòsata, che ebbe il merito di provocare il gusto pure di quello squisito umanista che fu Poggio Bracciolini. La presente versione, curata da Egidio Corinaldi – autore anche di una accurata nota di postfazione -, restituisce a questa gemma di malizia ellenica tutta la sua vivezza.

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Autore: Daniel Halévy

Titolo: Storia di quattro anni. 1997-2001

Collana: Il Cavallo alato

Prezzo: 9,00€

Il 1925: gli scienziati scoprono una sostanza capace di sfamare l’uomo evitandogli le fatiche del lavoro. Frotte di operai, impiegati, coatti di ogni sorta si vedono restituita la libertà di disporre del proprio tempo, mentre il loro stipendio rimane inalterato. L’eccitazione dilaga, ma presto diviene sovreccitazione, e poi follia. Gli ospedali si riempiono dei malati di libertà. Terribile, lì, un morbo insinuante, sconosciuto si incarica dell’esecuzione pubblica della più dolce tra le utopie, Liberté, falcidiando i dissoluti apologeti del vacuo, i liberati allo sbaraglio. Solo piccole sodalità di uomini retti, disciplinati, sobri resistono. Il morbo non li sfiora. Saranno loro ad averlo diffuso per disamore del popolo?… Questo romanzo vaticinante, perfetto, scritto nel 1903 da Daniel Halévy, è la versione narrativa delle migliori intuizioni di Friedrich Nietzsche. Quasi un esemplare unico nel corpus della letteratura, sempre cauta e a disagio di fronte alle possibili implicazioni pratiche della ‘psicologia’ nietzscheana. Potremmo anche dire che Halévy è il Proust della politica. Un’amicizia lo legava all’autore della Recherche, ma l’uno ha applicato il proprio inusitato, leggiadrissimo esprit de finesse ai meandri inesauribili di un cuore, l’altro ha dilatato e insieme semplificato i termini della cerca. L’uno si è dedicato all’uomo come individuo, l’altro all’uomo come genere. Eppure, si costringesse Proust, il descrittore impareggiabile delle fioriture primaverili, dell’azzurro della cintura di Ginevra, della bellezza più densa e più rara, lo si costringesse a commiserare l’uomo fino a volergli suggerire il modo di salvare sé stesso nel mondo, potrebbe mai, questo aristocrate dell’attenzione, additare qualcosa di diverso dalle caste? Quelle caste che sono, per Halévy, le colonne doriche dello Stato in ordine - l’unica, l’estrema possibilità di salute pubblica e di condivisione e apologia della bellezza, della magnanimità, della sapienza.

bagattelle10

Céline. Bagattelle per un massacro. Edizioni di Ar-Adel. Edizione anastatica, in 300 copie. Euro 24,00

lunedì 10 ottobre 2011

C'è del marcio nella democrazia

il Fatto Quotidiano 25/09/2011

democrazia2

L'altro giorno passeggiando sul lungomare di Finale Ligure ho visto, seduta su una panchina, una vecchia che sferruzzava. Non stava facendo un golfino per il nipotino, ma dei piccoli sacchetti in lana leggera da appendere al collo e dove infilare la patente, la carta di credito, le chiavi della macchina, quelle di casa, gli spiccioli e insomma tutte quelle cose che d'estate, in braghette e t-shirt, non sai dove mettere. Li vendeva a pochi euro. La vecchia signora non è una clochard. Vedova, con due figlie adulte, vive a Vercelli con una pensione modestissima e in tarda primavera, d'estate e nei primi mesi d'autunno si sposta sulla Riviera per arrotondare le sue magre entrate. Non però in luglio e agosto perchè in piena stagione il costo della stanza del modesto albergo dove alloggia (modesto ma decoroso, son andato a dare un'occhiata) le rimangerebbe tutto il magro guadagno.
Ho pensato a Nicla Tarantini, la moglie di Giampi, quando dice, piangendo, ai Pm di Napoli "E adesso senza quei soldi che ci dava il Presidente come faremo a campare?" Alla signora non passa nemmeno per la testa che si possa "campare" lavorando. E al Pm che le chiedeva come mai avendo ricevuto dal "Presidente", oltre ai 20 mila euro sborsati mensilmente, un surplus di altri 20 mila per una vacanza a Cortina, abbia sentito il bisogno di bussare ulteriormente a quattrini da Berlusconi reclamandone ancora 5 mila, ha risposto: "Siccome era la prima vacanza che facevamo dopo tre anni, eravamo in quattro e volevo far fare una bella vacanza alle mie bambine".
Penso a Nicla Tarantini e sento montare in me una collera pericolosa. Vorrei prendere a sberle questa impunita, raccontarle della vecchia signora di Finale, ricordarle che 20 mila euro al netto sono lo stipendio annuale di un impiegato o che i suoi coetanei se la sfangano nei call center a mille euro. Non è una questione personale, naturalmente. Perchè la tipologia di Nicla e Giampi Tarantini, gente che "campa" nel lusso senza aver mai battuto un chiodo, è vastissima. Per capirlo basta entrare in uno dei tanti locali "trendy" di Milano frequentati dal demimonde dello spettacolo, da escort (ammesso che vi sia ancora una differenza) e da una fauna maschile indefinibile, uomini di quaranta e cinquant'anni che ricordano nell'eleganza kitsch e nel gestire certi magliari degli anni Cinquanta. Dai tavoli senti discorsi di questo tipo: "Domani sono a New York, poi faccio un salto a Boston e prima di rientrare mi fermo una settimana in Tahilandia". Se ti capita di parlare con uno di questi e, dopo un po', gli chiedi che lavoro fa le risposte sono vaghissime. Non è un grande avvocato, non è un primario, non è un architetto di grido. Si muove vede gente. Ma che mestiere faccia non si sa anche se intuisci che non deve essere molto diverso da quello degli infiniti Tarantini, Lavitola, Bisignani che popolano questo Paese.
Ma la questione è più ampia. Da quando esiste la democrazie non ha fatto che allargare il divario fra ricchi e poveri. Un contadino dell'ancien régime era più vicino al suo feudatario di quanto lo sia oggi il cittadino comune a un personaggio dello star-system. Non solo in termini di ricchezza ma, paradossalmente, anche di status (in fondo feudatario e contadino, abitando sullo stesso pezzo di terra, facevano, almeno in una certa misura, vita comune). Ancora negli anni Cinquanta un alto dirigente Fiat guadagnava 15 volte il suo operaio, oggi un grande manager 400 volte. Un divario intollerabile, osceno. C'è del marcio nel regno di Danimarca. C'è del marcio nella democrazia. Un sistema, come ho scritto brutalmente in Sudditi, "per metterlo nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso". Abbattiamolo e ricominciamo da capo.

Massimo Fini

Auguri Paul!

L'ex Beatles si è sposato per la terza volta. Gli scherzi con i fotografi, gli abiti dei coniugi disegnati da sua figlia e l'ultimogenita del baronetto come damigella

Paul-McCarney-Nancy-Shevell

Dopo giorni di preparativi, Paul McCartney e l'imprenditrice newyorkese Nancy Shevell si sono detti «sì» durante una cerimonia nel pomeriggio a Londra.

La coppia, che si frequenta dal 2007, è stata accolta da applausi al loro arrivo al Municipio a Marylebone, che è stato aperto appositamente per l'evento.

La Shevell, 51 anni, indossava un fiore tra i capelli e un abito avorio, al ginocchio, con le maniche lunghe, scollo a V, con scarpe coordinate disegnato appositamente dalla neo figliastra,      la stilista  Stella McCartney, che ha anche realizzato anche l'abito blu navy di suo padre.

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Un altro bel servizio fotografico e commento lo trovate qui

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