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venerdì 27 maggio 2011

Leopardi sprezzator degli uomini


“Lo sprezzo dell’attualità è l’ascesi della santità estetica”, sostiene Nicolás Gómez Dávila.
Infatti ecco Leopardi:
“Né mi diceva il cor che l’età verde
sarei dannato a consumare in questo
natio borgo selvaggio, intra una gente
zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
argomento di riso e di trastullo,
son dottrina e saper; che m’odia e fugge,
per invidia non già, che non mi tiene
maggior di sé, ma perché tale estima
ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
a persona giammai non ne fo segno.
Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
senz’amor, senza vita; ed aspro a forza
tra lo stuol de’ malevoli divengo:
qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
e sprezzator degli uomini mi rendo,
per la greggia ch’ho appresso”

Mal di vivere e basta? No, mal di vivere qui, “intra una gente zotica, vil…” Non dolore privato, non fastidio personale. E’ il genio di Leopardi, non Leopardi (che ne è solo il contenitore, indifferente ai fastidi individuali come ogni grande), che patisce l’affronto, che soffre di non avere cittadinanza in un mondo tempestato di gente “zotica, vil”, maneggiato da gente “zotica, vil”, assaltato da gente “zotica, vil” – e infine espugnato.
Il male di Leopardi è estetico, non sentimentale. Impersonale. E’ il male di chi vede minacciata la propria stessa possibilità di fare arte, di contemplare, considerare, celebrare la bellezza, ciò che è alto, nobile, puro, giusto, e, di per sé, odioso ai più. Le masse, “questa leggiadrissima parola moderna” – dirà Tristano nell’ultima e più sprezzante delle Operette morali. Basterebbe. Masse: proprio una leggiadrissima parola moderna. Indecenza estetica prima che morale, semantica prima che esistenziale. Da un lato, la musica delle sfere; dall’altro, masse.
In fondo, il corrusco Dialogo di Tristano e di un amico non fa altro che ribadire la distanza totale, la diversità assoluta tra il genio, il poeta, l’eroe (sempre con la minuscola: niente tronfiaggini da vittoriale degli italiani), e le masse. Il poeta è evidentemente un nemico del popolo, dei più. Non per malanimo. Anzi. L’artista è – deve essere – conforme all’oggetto della sua attenzione e affezione, e quindi magnanimo. E’ il popolo che, per disgrazia, non lo è, le masse. Dice ancora Tristano: “gli uomini sono codardi, deboli, d’animo ignobile e angusto; docili sempre a sperar bene, perché sempre dediti a variar le opinioni del bene secondo la necessità governa la loro vita”. Vili e opportunisti, gli uomini. Quindi non solo lo sprezzo dell’attualità, ma pure lo sprezzo dell’umanità incarnata (incarnita?) nelle masse è condizione necessaria alla sanità e alla santità estetica. Senza di esso, nessun ‘pensiero poetante’, niente di memorabile, niente.
“Ed è cosa che fa meraviglia a contare il numero dei dotti, ma veri dotti, che vivevano contemporaneamente centocinquant’anni addietro, e anche più tardi, e vedere quanto fosse smisuratamente maggiore di quello dell’età presente. Né mi dicano che i dotti sono pochi perché in generale le cognizioni non sono più accumulate in alcuni individui, ma divise fra molti; e che la copia di questi compensa la rarità di quelli. Le cognizioni non sono come le ricchezze, che si dividono e si adunano, e sempre fanno la stessa somma. Dove tutti sanno poco, e’ si sa poco; perché la scienza va dietro alla scienza, e non si sparpaglia.”
Il sapere non si sparpaglia.
“Mi diceva, pochi giorni sono, un mio amico, uomo di maneggi e di faccende, che anche la mediocrità è divenuta rarissima; quasi tutti sono inetti, quasi tutti insufficienti a quegli uffici o a quegli esercizi a cui necessità o fortuna o elezione gli ha destinati. […] E’ tale il romore e la confusione, volendo tutti essere tutto, che non si fa nessuna attenzione ai pochi grandi che pure credo vi sieno.”
Ecco il dramma etico, estetico e quindi politico: la deriva dei punti di vista, l’insolenza delle masse, che, rumoreggiando, impediscono perfino che si possa udire la voce del grande. La soluzione, davvero ‘finale’: taci – non, come si legge nei siti delle gazzette e nei diari privati del web, ‘commenta’. (Straordinariamente poetico appare, dunque, per paradosso, il motto dagli alpini della Julia, in friulano: “Tàs e tira”, taci e va’ avanti.)
E’ forse una interpretazione faziosa e sforzata della ‘complessità’ del pensiero leopardiano?
Ma qui non c’è la minima complessità, il minimo chiaroscuro, la minima via di fuga, il minimo equivoco e pretesto. Qui è tutto chiarissimo. O le masse o il poeta (l’eroe). Aut aut. Proseguiamo:
“Mentre tutti gli infimi si credono illustri, l’oscurità e la nullità dell’esito diviene il fato comune e degli infimi e de’ sommi.”
E questo poeta eroico, che aveva in odio la promiscuità e ha pronunciato la sua imprecazione definitiva contro le masse, è stato addirittura definito ‘progressista’ ed è ancora nelle mani sudaticce di critici militanti, che fanno di tutto per rappresentarlo come uno sfigato di lusso col dono delle rime, e, soprattutto, beffa delle beffe, viene citato dai veri sfigati in amore (?) su facebook! Lo fanno passare per rattristato dalla propria pessima condizione di salute, come se questa fosse causa e non effetto. Effetto della balordaggine del tempo, che gli assegnò il secondo posto al concorso letterario cui partecipò; della grossolanità chiassosa e bieca delle masse, che, tra capricci e “il romorio de’ crepitanti pasticcini”, non seppe, non volle (e non tollerò di) tacere e ascoltare. Sparire e contemplare. Morire, in fondo, per la vita del grande. E’ tremendo, ma non c’è altra formula possibile. O meglio: c’è, ed è la comunità organica, ma come tutte le cose perfette resterà un’utopia e, tra le cose imperfette, ci sarà invece sempre guerra e sopraffazione. Allora vinca almeno il migliore: Leopardi, non la gentaglia “zotica, vil”. Aut aut. Così Nietzsche, un lettore attento del poeta marchigiano: “Gli stenti di quanti faticano a vivere dovranno aumentare ancora, al fine di consentire a un piccolo numero di esseri olimpici la creazione dell’universo artistico.” (in Lo Stato dei Greci. L’agóne omerico.)
E’ uscita di recente l’ennesima verbosa biografia dell’eroe omerico di Recanati. Centinaia di pagine spese a nascondere invece che a rivelare, a svicolare invece che a ribadire, a ridimensionare e a confondere invece che a esaltare. Ora che è morto da tempo, e si può dire finalmente di lui quel che si vuole, è un piacere, davvero un piacere, parlarne, di questo grande “abbandonato, occulto” in vita, manipolarlo per trasformarlo, alla fine, nel proprio angioletto custode, nel proprio lare su misura. Citarlo su facebook, tra i vari ‘mi piace’, accanto a “la punta di cioccolato del Cornetto Algida”. Sic transit gloria mundi. Neppure più il silenzio, che talvolta è un sollievo.
Per concludere citando un altro aspro poeta antidemocratico, Montale, “non chiederci la parola”, perché sarebbe: merda.
Anna K. Valerio
23/05/2011
Da “Cultrura”, www.edizionidiar.it

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